
Un’altra peculiarità di McCarthy è l’utilizzo della metafora, che in certi casi assume delle sfumature addirittura poetiche, e il cui scopo è proprio quello di rafforzare l’impatto emotivo dell’immagine che si intende “mostrare” al lettore. Le varie descrizioni, anche quando sono brutali e realistiche, si snodano spesso sullo sfondo di paesaggi caratterizzati da elementi metafisici, quasi trascendentali. Ed è veramente particolare, oltre che affascinante, questa mescolanza tra duro realismo e suggestione lirica, che a mio avviso costituisce il vero marchio di fabbrica dello scrittore. Come si può notare, ad esempio, nei seguenti paragrafi:
In lontananza fra i nuvoloni neri balenavano lampi silenziosi che sembravano saldature incandescenti tra fumi di metallo fuso. Pareva che riparassero un guasto nell’oscurità metallica del mondo.
Grandi pascoli verdi si estendevano a perdita d’occhio nella densa bruma violetta della sera e a occidente piccoli stormi di uccelli acquatici, come branchi di pesci in un mare infuocato, migravano a settentrione sullo sfondo delle gallerie rosse scavate nelle nuvole dalla luce del tramonto.
La pianura intorno era bluastra e priva di vita. La luna sottile, a forma di corno, era appoggiata sul dorso a occidente come un graal e la luminosa Venere le stava direttamente sopra, come una stella su una barca.
Sono locuzioni di intensa poesia, sostenute da un’inventiva metaforica che ha qualcosa di magico, di singolare. E poco importa se dopo qualche riga ti capita di leggere per l’ennesima volta che John Grady ha sputato nella sabbia, si è controllato le suole consumate degli stivali o si è pulito i denti con uno stecchino, perché ormai sei stato risucchiato dentro la storia, ne sei rimasto totalmente sedotto, e quindi ne accetti incondizionatamente ogni possibile risvolto, anche quello più grezzo e banale. Così come sei disposto a sopportare le situazioni più nude e crude, perché ormai hai capito che all’improvviso, quando meno te lo aspetti, ti potrebbe apparire di nuovo davanti agli occhi un altro scenario di così rara bellezza da mozzare il fiato. Magari di nuovo uno scorcio paesaggistico, visto che la Natura con i suoi cieli sterminati, con lo scroscio della pioggia e i frastuoni dei lampi, con gli odori e i profumi e i lievi rumori che si spandono nel silenzio della notte, è un altro degli elementi ricorrenti della narrativa mccarthyana.
Ecco allora che il viaggio dei giovani cowboy diventa anche una riscoperta del primordiale rapporto tra l’uomo e la sua terra, in antitesi ad uno sviluppo urbano che in altre zone è già avanzato. Del resto è proprio nella natura e nel rapporto con gli animali che l’uomo può ritrovare se stesso, i suoi pensieri più intimi e genuini, una sorta di pace e paradiso terrestre. Gustandosi il semplice fluire del vento e dei giorni, così come viene, senza troppe aspettative.