Acido solforico

Acido solforico, Amélie Nothomb, Voland, 2005, p.132
Acido solforico, Amélie Nothomb, Voland, 2005, p.132

Concentramento: questo è il titolo di un nuovo reality show dai risvolti sadici e inquietanti, dove i partecipanti vengono rastrellati lungo le strade e poi costretti a rivivere sotto l’occhio della telecamera il dramma dei lager nazisti…

Non preoccupatevi, si tratta solo di una trama romanzesca e non di un evento reale, anche se al giorno d’oggi l’offerta dei palinsesti televisivi è talmente bassa e scadente da far nascere il dubbio che un tale orrore, magari in un futuro più lontano, potrebbe anche materializzarsi sui nostri schermi. E Amélie Nothomb, probabilmente schifata a sua volta dall’odierno proliferare della tv-spazzatura, non ha resistito alla tentazione di imbastirci sopra una storia, magari augurandosi di non dover un giorno rimpinguare quell’esigua schiera di profeti di sventure che hanno visto realizzate nel tempo le loro previsioni.
In sostanza, nel romanzo Acido solforico i poveri malcapitati vengono rinchiusi in un campo di concentramento e privati dell’identità del nome (sostituito da lettere e numeri), nutriti in malo modo, costretti ai lavori forzati e sorvegliati da veri e propri aguzzini, che sono sempre pronti ad insultarli e picchiarli. Fino a quando all’interno di questo sconcertante contesto, che richiama alla memoria la ben più tragica realtà vissuta dagli ebrei nel secondo conflitto mondiale, non comincia a prendere forma la personalità pura e luminosa di Pannonique, la detenuta CKZ 114, che grazie al suo carattere valoroso e altruistico diventerà non solo un punto di riferimento per tutti gli altri prigionieri, ma anche l’imprevista beniamina dei telespettatori, in perenne contrapposizione con la rozza kapò Zdena, simbolo di mentalità ottusa e meschina. Quello tra le due donne è un rapporto di amore-odio che si spinge fino ai limiti estremi, percorrendo tappe instabili e burrascose, ma dal quale deriveranno dei risvolti assolutamente impensabili.

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Antichrista

Antichrista, Amélie Nothomb, Voland, 2004, 108 p.
Antichrista, Amélie Nothomb, Voland, 2004, 108 p.

Oggi ho deciso di proporvi un’altra recensione della dissacrante Amélie, forse nel vano tentativo di contrastare un clima natalizio che di liturgico ha ormai solo l’apparenza, visto che ogni anno si lascia monopolizzare da una miriade di proposte commerciali che poi invadono in modo spudorato ogni angolo del web (e non solo).
Il fatto è che mi ero anche ripromessa, fin dall’apertura del blog, di pubblicare tutte le recensioni che la riguardavano, e la qui presente stava albergando già da troppi mesi nel mio computer, ammiccandomi ogni volta che accedevo alla cartella dei file. Chiudete quindi un occhio se l’ambiguità del titolo stride con l’atmosfera bonaria (e commerciale) delle feste, ma dovevo proprio liberarmene. Vi posso comunque garantire che non c’è nulla di sacrilego o di sessualmente indecoroso in questo libro, nonostante la seducente immagine impressa nell’angolo della copertina. Affrontate quindi la recensione con una certa tranquillità d’animo (o con una punta di delusione, dipende dalle aspettative personali), visto che è consentita anche ai minori e in special modo a tutte quelle persone che si scandalizzano per poco o nulla.

In questa storia, che in realtà non è poi così male, gli obiettivi vengono puntati al massimo grado su due grosse piaghe dell’umanità: l’egocentrismo, di cui purtroppo nessuno è immune, impersonato in modo eccellente dalla perfida Christa, e l’inadeguatezza, altrettanto diffusa tra i comuni mortali ed espressa in tutte le sue invalidanti forme dalla candida Blanche. Due piaghe che, a mio parere, sarebbero una la figlia dell’altra, ma è meglio evitare di approfondire il discorso per non scivolare in troppe digressioni.

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Causa di forza maggiore

Causa di forza maggiore, Amélie Nothomb, Voland, 2009, 114 p.
Causa di forza maggiore, Amélie Nothomb, Voland, 2009, 114 p.

Ho aperto questo blog per parlare soprattutto delle letture che ho gustato con piacere, ma credo sia giusto parlare ogni tanto anche di quelle che mi sono rimaste sullo stomaco. Stavolta proprio non ci siamo con Amélie Nothomb: la storia inizia in modo avvincente ma poi, nel giro di poche pagine, si arena in una situazione banale e ripetitiva. Sorvoliamo pure sull’immagine della copertina, benché fuorviante visto che non corrisponde per niente al contenuto del romanzo, ma per tutto il resto bisogna avere il coraggio di stendere un pietoso velo, ammettendo che questo libro non è tra i parti migliori della geniale scrittrice.
Per farla breve, la vicenda tratta di un certo Baptiste Bordave, che dopo una strana conversazione avuta con un anonimo interlocutore, che verteva sulle eventuali contromisure da adottare nel caso in cui ci si trovasse con un perfetto sconosciuto che ci muore in casa, si ritrova il giorno dopo a dover affrontare proprio una condizione simile… Un signore suona infatti a caso, o forse non accidentalmente, il suo campanello, e con la scusa di un guasto all’automobile gli chiede di poter fare una telefonata. Ma mentre compone il numero  viene colpito all’improvviso da un infarto, si accascia e subito muore.
A questo punto, dopo lo sgomento iniziale, a Baptiste si aprono due possibilità: chiamare l’ambulanza e la polizia, con il timore però, memore della conversazione avuta la sera precedente, di dover subire sospetti e lunghe indagini da parte degli inquirenti, oppure trasformare questo fatto inaspettato in un’occasione per cambiare completamente vita, rubando l’identità a un defunto che, altrettanto casualmente, gli assomiglia per corporatura e aspetto. Un vero e proprio salto nel vuoto “per conoscere l’ebbrezza del mare aperto”, con una caduta però su cuscini morbidi e confortevoli, visto che il pacchetto omaggio comprende anche una villa da favola, una splendida Jaguar e una moglie giovane e carina. Il morto era infatti un ricco signore svedese dal passato ambiguo e pieno di ombre, con probabili e possibili agganci nei servizi segreti, anche se tale situazione non viene mai chiarita a sufficienza nel corso del romanzo.
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Cosmetica del nemico

Cosmetica del nemico, Amélie Nothomb, edizioni Voland, 2007, 102 p.
Cosmetica del nemico, Amélie Nothomb, Voland, 2007, 102 p.

Regina del mondo editoriale francese, Amélie Nothomb è oggi conosciuta e apprezzata un po’ ovunque per lo stile incisivo e provocatorio, che ormai è diventato come un marchio di fabbrica. Provvista di uno sguardo spietatamente lucido e di una penna terribilmente graffiante, è riuscita a mettersi in luce soprattutto per l’abilità con cui passa al setaccio ogni tipo di manchevolezza e difetto umano. L’amore e la morte, la bellezza e la mostruosità, la sincerità e la doppiezza, la figura del seccatore e le problematiche con il cibo sono il cardine su cui ruotano le sue strabilianti storie, che spesso lasciano il lettore attonito, senza parole. Chi la legge viene letteralmente travolto da una scrittura irriverente e pungente, serrata e incalzante, dove un dato di fatto può trasformarsi all’improvviso nel suo esatto contrario.

In questo racconto, che per lo stile narrativo sembra quasi un’opera teatrale, tutto è impostato sul dialogo che avviene tra due persone, un colloquio mozzafiato che ipnotizza il lettore e lo tiene aggrappato alle pagine fino al colpo di scena finale, come sempre inaspettato. Sono pagine dense e leggere nello stesso tempo, destinate non solo a stupire per la vicenda alquanto bizzarra, ma anche a sollevare questioni filosofiche che bene o male spingono a riflettere sulla complessità della mente umana.

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