
“Ciò che mi colpisce di più è che tante cose terribili vengono commesse da persone che non sono affatto terribili”
Questa frase di McEwan, stampata nel retro copertina, sintetizza in modo significativo l’essenza di questo suo romanzo d’esordio, che si distingue da tutti gli altri per lo stile scarno e asciutto, anche se già non mancano quelle tipiche sfumature morbose che hanno reso tanto famoso l’autore. Se si pensa che proprio con tale debutto si conquistò l’appellativo di Ian Macabre, si può facilmente immaginare anche il contesto della trama.
Per spiegare le motivazioni che stanno alla base del romanzo devo per forza addentrarmi nei particolari, quindi se qualcuno non l’ha ancora letto e intende farlo si regoli di conseguenza. La storia, raccontata in prima persona, è quella di Jack, un ragazzo in piena fase adolescenziale, e di come lui e suoi fratelli si ritrovano a vivere quasi al di fuori del mondo, isolati da tutto e da tutti, dopo la morte improvvisa del padre seguita, a breve distanza, da quella della madre. Per non rischiare di essere separati e di finire in affidamento presso qualche altra famiglia, o peggio in un orfanatrofio, i ragazzini decidono di occultare il cadavere della madre in cantina, seppellendolo sotto strati di cemento, per poi continuare la loro esistenza come se niente fosse.
Com’è evidente, questo è un romanzo che getta una luce cupa sull’adolescenza, mescolandone la tipica innocenza con sentimenti più ambigui e torbidi. Un romanzo anche di formazione, se vogliamo, nonostante si sviluppi sulla base di una situazione alquanto estremizzata, ma raccontata in modo così realistico da risultare convincente. A dire il vero la storia non è neppure così inverosimile come appare in un primo momento, soprattutto se si pensa a ciò che succede ogni giorno nel mondo, basta andare a leggere un po’ di cronaca per capacitarsene.