
Questa è una storia che per molti aspetti colpisce e impressiona, difficile dimenticarsela. Una storia che parla di miseria, di fame, di pazzia, di follia redentrice, il tutto sullo sfondo di grossi cambiamenti epocali. Anche in questo caso, com’era accaduto nel romanzo La chimera, la trama si modella sulla base di un’accurata ricerca documentaria che in alcune parti si avvale dell’invenzione. I riflettori sono puntati non sui grandi personaggi storici, che pur essendo presenti rimangono sullo sfondo del romanzo, ma sulla gente umile e povera, che rappresenta da sempre la categoria più vessata del tessuto sociale. Vassalli tendeva infatti a prediligere le vicende dei singoli che si incrociano con la Grande Storia, le storie di uomini e donne spesso sconosciuti o quasi del tutto ignoti, che spesso e volentieri ripescava dal buio dell’oblio con tutto il loro carico di esperienza vissuta e patita. Era quindi un narratore di storie più che un romanziere nel senso classico del termine, ma in fondo raccontare – come ha scritto Paolo Mauri nel retro copertina – è pur sempre salvare, raccontare è anche un’opera di perplessa pietas verso vite altrimenti estinte per sempre.
Il periodo storico tracciato nel romanzo è quello a cavallo fra il Settecento e l’Ottocento, che vide la fine della Repubblica di San Marco (le cui classi nobiliari opprimevano da decenni le campagne venete con pesanti dazi) per opera delle truppe napoleoniche francesi, le quali al posto della libertà promessa si dedicarono a soprusi e saccheggi, per poi cedere da lì a poco il Veneto all’Impero Austriaco, che tolto un breve periodo ci spadroneggiò fino all’unità d’Italia, imponendo nuove e pesanti tasse alla popolazione locale. Erano quindi anni turbolenti per l’Italia, segnati dall’alternanza di continui domini stranieri e da tentativi di sommosse contadine soffocate subito nel sangue. Famosa ad esempio quella capeggiata dal brigante Desiderio Manfroi, detto l’Userta, che cercò di ribellarsi ai soprusi dell’aristocrazia bellunese, di volta in volta compromessa con il dominatore straniero di turno, forse più con l’intenzione di trafugare per sé dei beni preziosi che non per vero amor di patria, come suppone anche Vassalli nel libro. Il quadro che il romanzo dipinge di questo periodo storico è comunque sconsolante, perché alla fine chi ci riemetteva era sempre la classe rurale, che restava povera, cenciosa e affamata, mentre i ceti aristocratici trovavano sempre il modo, grazie ad un’alleanza o all’altra, di preservare vecchi e nuovi privilegi.