
Questo è un libro sulla morte. Non perché tratti di uccisioni, stragi e carneficine varie o perché indugi in riflessioni sulla sacralità della vita e relative questioni. No, niente di tutto questo.
Qui l’attenzione viene posta, con un obiettivo che si allarga a 360 gradi coinvolgendo anche il lettore, sulla “paura della morte”, un sentimento che ci portiamo sempre dentro e che ci accomuna tutti, senza esclusioni di sorta, sia quando ci coglie di sfuggita e lo cacciamo subito via con fastidio, sia quando ci travolge con foga rendendoci ancora più difficile il vivere quotidiano. Perché in fondo, anche se non lo vogliamo riconoscere, il miracolo straordinario della nostra realtà è sempre connesso al timore straordinario che è la paura della morte, che tentiamo di mantenere al di sotto della superficie delle nostre percezioni (come lo spiega molto bene lo stesso scrittore in un’intervista).
DeLillo è riuscito con questo libro ad andare oltre l’effetto materiale degli eventi – che pur essendo d’impatto rimangono un po’ defilati, quasi sempre sullo sfondo – per potersi calare meglio nell’animo dei personaggi, nelle loro reazioni emotive, nelle loro paure più intime, ossia in quel serbatoio inconscio di istanze individuali (e collettive) che condiziona da sempre il genere umano. Gli accadimenti materiali della storia, come appunto l’evento tossico aereo e la conseguente contaminazione, sembrano quasi solo un pretesto per scoperchiare paure ancestrali da troppo tempo compresse e messe a tacere sotto una coltre di apparente benessere.