No, tu non puoi amarmi:
stai in alto, così in alto!
E per consolarmi
mi mandi ombre, copie,
ritratti, simulacri,
tutti così somiglianti
come se fossi tu.
Fra immagini vivo
di te, senza te.
Mi amano,
mi stanno vicino. Andiamo insieme
nei chiostri dell’acqua,
sui ghiacci galleggianti,
nella pampa, o in cinema
minuscoli e profondi.
Parlando sempre di te.
Mi dicono:
«Non siamo lei, ma tu
vedessi come siamo uguali!».
I tuoi fantasmi, che braccia
lunghe, che labbra dure
hanno: sì, come te.
Per fingere che mi ami,
mi abbracciano e mi baciano.
Le loro tenere voci mi dicono
che tu abbracci, che tu
baci così. Io vivo
di ombre, fra ombre
di carne tiepida, tersa,
con i tuoi occhi, il tuo corpo,
i tuoi baci, sì, con tutto
ciò ch’è tuo, meno te.
Con creature false,
divine, insinuatesi fra noi
perché quel grande bacio
che non possiamo darci
glielo dia, me lo diano.
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Tag: Pedro Salinas
La riscossa della poesia (?)
Ultimamente mi capita spesso, quando leggo le statistiche delle visite, di riscontrare una forte affluenza sugli articoli a contenuto poetico. Il post che dall’inizio dell’anno ha registrato finora il più alto numero di letture, surclassando di gran lunga tutti gli altri, è quello dedicato al poeta madrileno Pedro Salinas. Ogni giorno, sottolineo ogni giorno, arrivano ulteriori visite a questo articolo. Dev’essere scoppiata, negli ultimi mesi, una specie di pedro-salinas-mania. Segue subito dietro, sempre per numero di visualizzazioni, il post dedicato ai racconti di Hemingway, che già l’anno scorso aveva registrato delle entrate molto alte e che farebbe perciò pensare a un interesse generale, mai sopito se non rinverdito, per la grande narrativa americana. Probabilmente anche da parte dei lettori più giovani.
Pedro Salinas, non solo amore…
E improvvisa, inattesa,
fortuita, l’allegria.
Da sola, perché volle,
è venuta. Così verticale,
così grazia insperata,
così dono a sorpresa,
che non posso credere
che sia per me.
Mi guardo intorno,
cerco. Di chi sarà?
Sarà di quell’isola
sfuggita dall’atlante,
che mi è passata accanto
vestita da ragazza,
con spume al collo,
abito verde e un grande
spruzzo di avventure?
Non sarà forse caduta
a un tre, a un nove, a un cinque
di questo agosto che inizia?
Oppure è quella che ho visto tremare
di là dalla speranza,
nel fondo di una voce
che mi diceva: «No»?
Ma non importa, ormai.
Sta con me, mi trascina.
Mi sradica dal dubbio.
Sorride, possibile;
prende forma di baci,
di braccia, verso me;
finge d’essere mia.
Andrò, andrò con lei
ad amarci, a vivere
tremando di futuro,
a sentirla veloce,
secondi, secoli, eternità,
niente. E l’amerò
tanto, che quando verrà
qualcuno
– e non lo si vedrà,
non si potranno udire i suoi
passi – a richiederla
(è il suo padrone, era sua),
quando la condurranno,
docile, al suo destino,
lei si volterà indietro
a guardarmi. E vedrò
che ora è mia, finalmente.
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Pedro Salinas, il poeta dell’amore

Chi mi conosce sa quanto io apprezzi una poetica intelligente, fatta di riflessione e scavo interiore. Meglio ancora se impostata in modo originale o venata di sottile ironia. Per questo e altro le poesie di carattere puramente sentimentale mi hanno sempre attratta poco e altrettanto poco convinta, a parte qualche rara eccezione (vedi ad esempio Cesare Pavese, di cui mi piace tutto o quasi). Oltretutto mi sorge il dubbio che non sia per niente facile scriverle, le poesie d’amore, perché il rischio di scadere nella banalità, nel ridicolo o nell’affettazione è sempre dietro l’angolo. Forse è più facile verseggiare sui colori della natura, sulla vita e la morte, sulle crisi interiori e le solitudini sofferte, che non sulla persona amata e desiderata. Capita infatti di rado di leggere dei versi d’amore, classici o moderni, che siano veramente in grado di esprimere qualcosa di significativo e vibrante, mentre al contrario è più facile imbattersi in composizioni che, al di là di una loro apparente gradevolezza, sono in realtà incapaci di destare un vero coinvolgimento.
Non è questo il caso di Pedro Salinas (1891 –1951), professore universitario, poeta e critico letterario nella Spagna degli anni ‘30, poi esule negli Stati Uniti durante gli anni della guerra civile. Salinas aveva fatto parte della famosa “generazione del 1927”, una vera e propria avanguardia letteraria con un programma di progetto e di scrittura, fondata da un gruppo di poeti spagnoli vincolati anche da amicizia personale, tra i quali Jorge Guillén, Rafael Alberti, Federico García Lorca, Gerardo Diego, solo per citarne alcuni. Diciamo subito che Salinas è riuscito a distinguersi fra tutti per la capacità di trasporre i sentimenti in versi in un modo veramente unico e originale, oltre che incredibilmente intenso, al punto che la sua opera è considerata ancora oggi tra le migliori della poesia amorosa del Novecento. Le scelte espressive del poeta si muovono all’interno di schemi convenzionali operando delle lievi e sottili trasformazioni, e in questo modo riescono a sviluppare un discorso nuovo e personale senza entrare in rottura con la tradizione. Anche le eventuali suggestioni ereditate dalla generazione precedente – Unamuno, Machado e in particolare Juan Ramón Jiménez – si rivelano più delle assonanze che non dei veri e propri echi.
La voce a te dovuta, pubblicata nel 1933 e considerata dalla critica odierna come la raccolta della maturità, è composta da settanta poesie dedicate alla stessa donna, una sorta di canzoniere amoroso che trasuda passione e sensualità da ogni verso. Sono componimenti autonomi e senza titolo, non legati tra loro da una successione temporale, che però concorrono a formare un discorso unitario, tutto incentrato sulla ricerca di una forma d’amore che possa trascendere i limiti imposti dal tempo e dalla realtà contingente. Volendo si potrebbe anche intendere come un poema della memoria, dove i versi viaggiano sul filo di ricordi, emozioni e sensazioni attraverso dei monologhi o lunghi dialoghi con la figura dell’amata. É una poetica che indaga i diversi momenti e stati d’animo dell’amore, con domande e risposte che vanno alla continua ricerca di un senso. La donna appare concretamente desiderata e amata, oggettiva in se stessa, ma a volte anche sfuggente, impenetrabile per alcuni aspetti.
Pedro Salinas, tre poesie
Paura. Di te. Amarti
è il rischio più alto.
Molteplici, la tua vita e tu.
Ti ho, quella di oggi;
ormai ti conosco, penetro
in labirinti, facili
grazie a te, alla tua mano.
E miei ora, sì.
Però tu sei
il tuo stesso più oltre,
come la luce e il mondo:
giorni, notti, estati,
inverni che si succedono.
Fatalmente, ti trasformi,
e sei sempre tu,
nel tuo stesso mutamento,
con la fedeltà
costante del mutare.
Dimmi, potrò io vivere
in quegli altri climi,
o futuri, o luci
che stai elaborando,
come il frutto il suo succo,
per un domani tuo?
O sarò appena qualcosa
nata per un giorno
tuo (il mio giorno eterno),
per una primavera
(in me fiorita sempre),
e non potrò più vivere
quando giungeranno
successive in te,
inevitabilmente,
le forze e i venti
nuovi, le altre luci,
che attendono già il momento
di essere, in te, la tua vita?
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