Ultimo brano di Cortázar che propongo. Poi vado a rituffarmi nelle pagine dove sguazzavo fino a poco tempo prima, che di romanzi iniziati, a metà o quasi conclusi, ne ho parecchi in ballo. Alcuni già digeriti ed elaborati, a dire il vero, ma se voglio recensirli devo per forza ricaricare le batterie. Fino a qualche giorno fa, con il caldo che faceva, erano completamente a terra, adesso che l’aria è lievemente rinfrescata sembrano ridare segnali d’attività… Mah! Speriamo.
Tornando allo scrittore argentino, che mi piace identificare nella figura per eccellenza del cronopio (vi ricordate? quello che sovverte le regole, che scarabocchia fuori dai margini), guardate un po’ cos’ha tirato fuori, stavolta, dal suo cilindro magico senza fondo… Un testo di straordinaria bellezza, che vi consiglierei di leggere subito, ancor prima della mia introduzione (saltate qualche riga e andate giù, giù, ancora più sotto, poi tornate qui che vi aspetto 🙂 ).
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Cortázar #2 – Occupazioni insolite
Ah, questo brano, una delizia per la mente! Un distillato di ingegnosa e sottile ironia, da maneggiare però con le dovute cautele… Che non vi venga infatti la tentazione di farla, questa cosa, che non vi passi per la testa l’idea di provarci! State ben lontani dai lavandini, mi raccomando, e trovate un altro modo, più semplice e meno dispendioso, di passare il tempo libero e contrastare quella smania, tipicamente tutta umana, di ottenere risultati utili da qualsivoglia azione. Capisco quell’ineffabile piacere, simile all’orgasmo, nel caso di un improbabile colpo di fortuna (dopo una serie di manovre tanto azzardate!), ma se la ruota dovesse invece girare da un’altra parte, come pensereste poi di cavarvela, moralmente parlando? Non prendo neppure in esame l’aspetto economico dell’impresa, perché è scontato che, seguendo il percorso via via illustrato, ci si ritroverebbe in braghe di tela in men che non si dica. Cosa dite!!? Che volete provaci lo stesso? Che volete cedere all’ebbrezza del futile, del follemente inutile, così da pregustare il sapore di un’improbabile futura vittoria mentre un brivido di paura vi scorre lungo la schiena, mentre il sudore vi imperla la fronte nel bel mezzo di tanta sciagurata fatica? Va be’, fate come volete, poi non venite a dirmi che non vi avevo avvertito 😉
Cortázar #1 – Manuale di istruzioni
Per parlare di Julio Cortázar e della mirabolante inventiva scaturita dal suo cervello non basterebbe una decina di post. Pertanto, nell’attesa di trovare la forza per confezionare un articolo come si deve, mi accontento di proporvelo a pizzichi, a piccoli assaggi, certa del fatto che non vi lascerà indifferenti. Su di me, devo ammetterlo, ha un effetto straniante. Le sue storie infatti, oltre a mandarmi in solluchero le cellule neuronali, mi staccano dalla realtà in cui sono immersa, o meglio mi aprono nella mente visioni alternative (e mai banali) della stessa. Leggere Cortázar è come imboccare una strada che, nonostante la presenza di qualche cartello segnaletico, non sai in realtà dove ti porta. È un’avventura mentale, per dirlo in altri termini. Un invito ad osservare i lati più insospettabili del mondo, delle cose e della vita, con un modo di presentarli che non è privo di aspetti divertenti. E neppure privo di senso, di significato. Perché anche questo, a ben vedere, c’è. Magari non è subito così palese, immediato, ma alla fine si scorge qualcosa al di sotto dell’apparente leggerezza delle parole, del loro tono quasi giocoso, un qualcosa che avvince e travolge, a volte anche spiazza.
Di Cortázar, cioccolato, musica rilassante e altre amenità
Questo è un post zuccheroso e disimpegnato, infiocchettato qua e là di sollecitazioni bonarie, o per meglio dire scherzose, anche se non manca un sottofondo di serietà. Solo per farvi sapere che non sono emigrata su un altro pianeta ma sono sempre qui, semisdraiata languidamente sul mio divano sotto chili di libri, con fogli appuntati sparsi e appiccicati ovunque, anche sui capelli, con i pensieri che divagano dall’amatissimo Heinrich Böll, di cui presto pubblicherò qualcosa (a proposito, chi tra voi ha letto L’angelo tacque, ambientato nella Germania dell’immediato dopoguerra? al solo ricordo mi sento rimescolare dentro), fino al sorprendente (anzi, più che sorprendente) Julio Cortázar, per me ancora tutto da esplorare, in termini di opera omnia, anche se dopo aver letto tra un picco di febbre e l’altro cinque dei suoi racconti mi vedo già costretta ad una resa incondizionata, sedotta senza appello da uno stile che definirei incomparabile. Mi sono anche chiesta come io abbia potuto vivere, fino ad oggi, senza la consapevolezza della sua esistenza, senza avere attinto neppure una goccia dal calderone stratosferico della sua narrativa, e davvero non so cosa rispondermi…
A dire il vero qualche tempo fa una gentile fanciulla, che oltretutto scrive molto bene, mi aveva annunciato che sarebbe stato Cortázar ad agganciarmi, non viceversa, e mai previsione è stata più azzeccata. Come faccio, adesso, a liberarmi da una tale infatuazione? Non me ne libero, lascio invece che mi travolga, mi sommerga, mi spazzi via. Dovevo evidentemente aspettare che uscisse un po’ del cronopio che c’è in me per poter apprezzare il cronopio per eccellenza, vale a dire colui che mi avrebbe aperto le porte a un modo-mondo “diverso” di fare letteratura, lo scrittore Julio Florencio Cortázar Descotte per l’appunto, nato a Bruxelles nel 1914 da genitori argentini e morto a Parigi nel 1984, città dove risiedeva dagli anni ‘50 perché contrario alla politica dittatoriale di Juan Perón. Dovevo passare lo scoglio degli “anta” (ma solo perché sono una sprovveduta) per scoprire uno scrittore il cui talento è stato spesso paragonato a quello di Čechov, nondimeno a quello di Edgar Allan Poe, autore che Cortázar leggeva con particolare ingordigia fin da bambino e che senza dubbio ha contribuito a infondergli il gusto per il magico, il metafisico e talvolta per l’horror, che poi lui mescolava sapientemente alla realtà quotidiana per raccontare il Sudamerica attraverso una prosa elegante e musicale.
L’uomo del silenzio

Il rumore è un tam-tam.
Batte per convocare altro rumore e mettere in fuga chi non può fare a meno del non-rumore.
Difficile immaginare un romanzo tutto impostato sulla lotta al rumore. Eppure l’argentino Antonio Di Benedetto, vissuto nel secolo scorso quasi sempre ai margini in patria, rivalutato a distanza di anni dalla morte e ultimamente riscoperto anche nel nostro paese, l’ha proprio scritto e gli è venuto anche bene.
Ambientata negli anni ’50 in una città non ben definita dell’America Latina, questa strana vicenda vede al centro un personaggio senza nome per il quale è davvero impossibile sopportare il benché minimo rumore, dal momento che anche l’altoparlante dei rivenditori ambulanti nei giorni di mercato, o l’ingranaggio del luna park messo in funzione a breve distanza dall’abitato, rischiano di mandarlo in fibrillazione… Ed è stupefacente come l’autore sia riuscito a rendere così bene questa ossessione senza scadere mai nel noioso, nel patetico o nel ridicolo, ma anzi tenendo sempre alto l’interesse di chi sta leggendo, grazie anche al fatto che, come aveva evidenziato il conterraneo Julio Cortázar, “Di Benedetto non racconta una storia, ma è dentro quella storia. Fa in modo che il lettore ne penetri, in profondità, l’ordinaria follia”.
Non scenderò troppo nei vari dettagli, sarebbe un peccato. Questa è una storia che merita di essere scoperta pagina dopo pagina, fino alla sua impensabile conclusione. Mi limito a dire che l’abitudine al rumore di solito sopisce i sensi, se lo stesso non è troppo invadente e assordante, ma non è appunto il caso del nostro protagonista che lo vive come un’intrusione imposta, come un vero e proprio supplizio, al di là del fatto che sia davvero così insopportabile. Se all’inizio sono in particolare i rumori forti a tormentarlo, come ad esempio quello di un autobus lasciato in sosta per ore con il motore acceso, ben presto qualsiasi crepitio, ronzio o scalpiccio gli accende un dolore alla tempia facendola pulsare, con il risultato di abbassare ancora di più la soglia di sopportazione…
È un rumore-mondo che pare non offrire tregua né soluzione né via d’uscita, percepito come un nemico da combattere o da cui difendersi. Un rumore che risiede soprattutto nella sua testa e che rischia, a momenti, di compromettergli l’equilibrio mentale. Ecco ad esempio cosa pensa nel momento in cui, seduto sul letto, avverte un nuovo rumore che proviene dall’officina meccanica sotto casa, che gli ha già provocato fastidiose invasioni acustiche:
Per captarlo tutt’intero bisogna seguirlo. Non è detonante, non è brusco, non è acuto. Ricorda molto un laborioso insetto. Solo che s’interrompe e, nell’interrompersi, vibra. E ricomincia. [….…]
Probabilmente, stando come sto, un po’ debole, non riesco a capire quest’altro rumore che è arrivato.
Non so se mi faccia male, ma so che mi ossessiona, senza ferirmi, che mi lega e mi rallenta, come se sul mio corpo si fosse riversata una crema di torrone spessa e appiccicosa.
Non so cosa lo produca né perché, nell’interrompersi ritmicamente, menta e ripeta la menzogna che non riprenderà. Riprende sempre.
Non so cosa sia, ma è così perseverante che immagino provenga da una macchina a cui un uomo si trova incatenato.
L’uomo del silenzio metterà i tappi di cera nelle orecchie, cambierà più volte casa, ricorrerà addirittura alle autorità giudiziarie per far cessare i rumori, ma tutto sarà vano e al limite del kafkiano. Perché i rumori sono ormai annidati all’interno del suo essere, nidificati nelle cellule neurali, pronti a rimanifestarsi in forme sempre nuove e diverse, visto che svanito o diminuito uno ne spunta subito un altro, ancora più martellante del precedente…. Insomma, il rumore lo insegue sempre e dappertutto, e tutta quest’ansia di sfuggirgli è in fondo un tentativo di fuggire da se stessi, e quindi anche dalla vita, da quella vita che è appunto rumore, energia fragorosa, destinata a dissolversi solo nel silenzio totale e assoluto della morte.