
Che meraviglia! Un romanzo ricco, sontuoso, dalla prosa ampia ed elegante, ma nello stesso tempo coinvolgente, trascinante, che lascia ben impressi nella mente i tratti caratteriali e gli stati d’animo dei personaggi (in particolare quelli negativi, tratteggiati con grande maestria) e che ricorda come struttura i romanzi di stampo ottocentesco, anche per via della ripartizione in parti e capitoli, con quest’ultimi introdotti da brevi didascalie iniziali.
Pubblicato nel dopoguerra del ’48, in pieno clima neorealista, questo primo romanzo della Morante (elaborato in quattro anni) si poneva in netto contrasto con le altre opere letterarie del periodo, che vedevano l’emergere di autori come Elio Vittorini, Cesare Pavese, Italo Calvino, Vasco Pratolini e altri ancora, tutti impegnati nel descrivere gli eventi drammatici, ancora vicini e sofferti, dell’esperienza partigiana, della liberazione dal nazifascismo, e quindi ad illustrare la realtà contemporanea di un Paese appena uscito dal conflitto, alle prese con problemi d’ogni genere. La Morante, invece, con “Menzogna e sortilegio” sembrava voler percorrere un cammino tutto suo, squisitamente individuale e per certi versi paradossalmente moderno, considerata appunto la totale estraneità con i modelli letterari allora in voga. Fu quindi a suo modo provocatoria, magari senza averne l’intenzione.
Leggendo qualche nota biografica, mi sembra di aver intravisto nella sua personalità un bisogno primario di libertà espressiva, una necessità di essere sempre fedele a se stessa e all’ispirazione creativa del momento, che attingeva spunti sia dalle varie letture fatte (fra le tante, quelle degli amati Cervantes, Stendhal, Dostoevskij, Kafka e Verga) che da episodi del vissuto personale. Oltre questo, l’autrice era anche indifferente ai richiami del mercato letterario, abituata a lavorare con dedizione quasi artigianale su ognuno dei suoi romanzi, ai quali dedicava anni di scrupolosa gestazione.