John Cowper Powys. Qualcuno lo conosce e per caso l’ha mai letto? Siamo in pochi, immagino. Lo deduco dal fatto che ancora oggi le sue opere non vengono tradotte e divulgate in Italia, se non il romanzo Wolf Solent (scritto nel 1929), riproposto di recente da Corbaccio con il titolo originale inglese, mentre nel 1935 la scelta editoriale era caduta sul più enfatico “Estasi”, forse perché si pensava, in questo modo, di far presa su una fetta molto ampia di lettori. Negli anni del regime fascista c’era inoltre la tendenza a italianizzare le parole straniere, che venivano regolarmente abolite e sostitute con termini equivalenti. Non solo per quanto riguarda i titoli dei romanzi, ma anche per i cognomi e svariate cose di utilizzo comune, cosicché “albergo” sostituì “hotel” e la pellicola rimpiazzò il film. Mentre il sandwich, su suggerimento di D’Annunzio, si trasformò in un tramezzino.
Comunque, patriottismi a parte, Estasi era un titolo un tantino fuorviante, dal momento che poteva far pensare al genere romance (già in voga nei primi decenni del Novecento), mentre non è questo il caso; qui non si tratta infatti di rapimenti amorosi, ma di tutt’altro genere di rapimento. Sì, c’è anche l’amore sullo sfondo, che addirittura si alterna e si consuma per due donne che sono agli antipodi per carattere e tratti somatici, ma ciò che prevale nel protagonista non è tanto l’eccesso di sentimentalismo quanto la ricerca di una connessione profonda con il creato, con le potenze naturali e cosmiche, al punto di arrivare ad elaborare una forma di mitologia a proprio uso e consumo… Ciò che affascina di Wolf è proprio questa sua tendenza a perdersi nei pensieri e ad abbandonarsi a lunghe serie di fantasticherie, dove gli risulta facile plasmare delle immagini per ogni idea che gli passa per la testa. Immagini che fluiscono dalle varie sensazioni che prova, belle o brutte che siano, e che affascinano per la dovizia di particolari con cui vengono espresse, persino quando sfumano verso aree dai contorni più eterei e impalpabili.
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