
Il romanzo, che si ascrive alla corrente realista e fa parte di quel grandioso affresco della società francese ottocentesca che va sotto il nome di “La Comédie humaine”, rispecchia la visione di Balzac per la borghesia del suo tempo, considerata gretta, arida, accecata dal guadagno e quindi condannata alla solitudine materiale e spirituale.
Uno dei personaggi centrali è infatti Felix Grandet, un ex bottaio che si è arricchito grazie a delle speculazioni e che nasconde dentro casa, in una stanza di cui solo lui ha le chiavi, soldi e preziosi accumulati negli anni, costringendo la moglie e la figlia Eugénie ad uno stile di vita morigerato, senza alcuna concessione ai più piccoli piaceri. Per darvi un’idea della sua grettezza, che non ha nulla da invidiare a quella dell’Arpagone di Molière, vi basti pensare che questo marito padre padrone costringe tutta la famiglia ad indossare abiti vecchi e logori, a vivere in camere malamente riscaldate d’inverno, a risparmiare addirittura sulle zollette di zucchero o sulla quantità di sapone da usare per il bucato. Ma la cosa più urtante di quest’uomo, che bisogna immaginarselo con una corporatura tozza e le spalle larghe, con la faccia tonda e la fronte rugosa, con i capelli gialli e brizzolati, con le labbra sottili e una grande verruca sul naso, è l’odiosa reazione che manifesta ogni volta che coglie in fallo qualcuno, quando si accorge che uno dei suoi tanti diktat è stato violato. In questi frangenti diventa acido e furioso, cinico e molesto, totalmente noncurante della sensibilità altrui, al punto da risultare fastidioso anche per il lettore. E questo va naturalmente a merito dello scrittore, che ha saputo rendere così bene le suddette situazioni.