
Un partigiano braccato nei boschi, una dimora vetusta e isolata, un vecchio scostante e misterioso, il ritratto di una donna affascinante, un sotterraneo che nasconde dei segreti inquietanti…
Questi gli ingredienti principali del romanzo, dove l’iniziale realismo della guerra partigiana lascia progressivamente il posto ad una tragica vicenda d’amore e morte, che per molti aspetti si ricollega all’atmosfera cupa, fantastica e malinconicamente romantica di tanta narrativa gotica inglese.
In un periodo che l’autore non precisa, ma che corrisponde alla seconda guerra mondiale, un partigiano in fuga dall’esercito invasore si trova costretto, come tanti, a vagabondare a lungo in zone selvagge che sono lontane dalla sua sede abituale. Ad un certo punto, seguendo un sentiero nel bosco, giunge stanco e affamato presso una grande casa dall’aspetto signorile e decadente, che pare abbandonata ma che invece è abitata da un vecchio malmostoso. Questi si dimostra fin da subito riluttante ad offrirgli ospitalità, ma alla fine cede di controvoglia, sperando che l’importuno si tolga dai piedi al più presto. La scontrosità del vecchio viene enfatizzata ancora di più dalla presenza di due cani feroci e minacciosi, che sembrano ubbidirgli ciecamente affiancandolo in ogni spostamento. Nonostante questo, col trascorrere dei giorni il protagonista – che nel libro sta raccontando l’intera vicenda in prima persona – decide di prolungare il suo soggiorno nel maniero, non solo per tutelarsi dai rischi esterni ma anche perché attratto in modo irresistibile da un’immagine femminile intravista in un quadro…
Era un ritratto a mezzo busto di giovane donna, che fissava il riguardante; un olio alquanto annerito, ma non tanto che non si distinguessero i particolari. La donna era vestita secondo la moda degli ultimi anni del secolo passato o dei primi di questo, con tutto il collo chiuso in un’alta benda di pizzo; di pizzo era anche la veste, dalle maniche sboffate; sul petto ella recava un grande e complicato pendentif o breloque (come allora si diceva) di topazi bruciati, sorretto da nastri di seta marezzata; sulle spalle un amoerro, ricadente in larghe e convolte pieghe. La massa dei capelli bruni era pettinata in conseguenza, cioè in ampio cercine o cannuolo attorno alla fronte, in mezzo al quale spiccava un minuscolo diadema a forma di corona. Le di lei fattezze, delicate e chiare, recavano l’impronta inequivocabile della nobiltà di sangue e di carattere, e quel minimo di sdegnosità che l’accompagna sovente. Le guance appena arrotondate attorno alla bocca attribuivano, inoltre, a quel volto qualcosa di vagamente infantile. (pag.47)
Ma sono soprattutto gli occhi del ritratto, scuri e conturbanti, che sembrano quasi vivi, a colpire il visitatore. La sua curiosità viene però subito ostacolata dall’atteggiamento rigido del vecchio, che si affretta a stabilire una serie di regole e divieti, come ad esempio quello di non accedere a certe zone riservate dell’ampia casa. Ma come è facile supporre, il protagonista-narratore violerà ben presto i suddetti limiti, aspettando ogni volta il momento propizio per addentrarsi nei meandri del vecchio caseggiato alla ricerca di una fantomatica presenza femminile, di cui a tratti gli sembra di percepire i passi, il respiro, il profumo, e che nella sua mente suggestionata ricollega al dipinto recentemente osservato. E in questi viaggi esplorativi che si snodano tra corridoi, stanze, locali sotterranei e inaspettati passaggi segreti, all’interno di un maniero labirintico che appare senza fine e che diventa ad ogni angolo sempre più inquietante, alla ricerca di non si sa bene cosa e col rischio di venire scoperti da un momento all’altro, anche chi legge la storia, al pari dello stesso narratore, si ritrova di frequente con il fiato in sospeso, avvinghiato alle pagine e incapace di staccarsene, tanto è appunto il clima di incertezza e continua aspettativa che trasuda dal racconto.