
BIANCO: Be’, io non l’ho vista.
NERO: Ero lì fermo al binario. Pensavo ai fatti miei. Ed ecco che arrivi tu. A tutta birra.
BIANCO: Mi ero guardato attorno per essere sicuro che non ci fosse nessuno. Soprattutto bambini. E non c’era anima viva in giro.
NERO: No. Soltanto io
BIANCO: Be’, non so davvero dove potesse essere.
NERO: Mm. Ha proprio deciso di darmi il tormento con questa storia, eh, professore? Magari ero dietro un palo o che ne so.
BIANCO: non c’era nessun palo.
NERO: Allora che mi vuoi dire? Pensi che un angelone nero grande e grosso sia stato mandato giù dal cielo per acchiappare il tuo bel culetto bianco all’ultimo secondo e salvarti da una brutta fine?
Il dialogo si svolge nella cucina di una casa popolare, in un quartiere nero di New York. Intorno a un tavolo sul quale è appoggiata una Bibbia stanno seduti due uomini, uno di fronte all’altro. Un bianco di mezza età e un nero corpulento. Fino a qualche ora fa, prima che il nero strappasse il bianco alle rotaie del Sunset Limited sotto cui stava per lanciarsi, ancora non si conoscevano. Ma quello era solo l’inizio, ora i due devono andare oltre. E così parlano, «da prospettive, lingue e colori antitetici, fra picchi di comicità e abissi di disperazione senza contatto possibile oltre all’ingegno folgorante della penna che li ha partoriti».
Questo è quanto più o meno scritto sul retro della copertina, a cui resta ben poco da aggiungere in realtà. Anche perché si tratta di una pièce teatrale che per essere apprezzata al meglio andrebbe letta di persona, dalla prima all’ultima riga. Ma anche se il tentativo di spiegarla mi appare abbastanza riduttivo e passibile di fraintendimenti, proverò comunque a darvene un’idea il più chiara possibile, magari con l’aiuto di qualche estratto.
Iniziamo intanto col dire che quello messo in scena da McCarthy è un dibattito sul senso dell’esistenza che, passando da momenti calmi ad altri più concitati, con intermezzi a volte anche ironici, procede su due linee parallele destinate a non convergere mai.
Da una parte c’è il Bianco, l’aspirante suicida, un uomo ormai disilluso dalla vita e dal mondo, un intellettuale cinico e refrattario a qualsiasi ipotesi consolatoria, mentre dall’altra c’è il Nero, un avanzo di galera illuminato dalla fede e ormai devoto alla Bibbia, che avendo salvato la pelle al primo si sente adesso in dovere di convertirlo, di restituirlo fiducioso alla vita. Il Bianco però è un caso difficile, un osso duro. Vede nel declino del mondo l’evidente sconfitta dei propri ideali. Non crede più in una serie di cose in cui credeva una volta, “cose culturali” (così le chiama, riferendosi a libri, musica, arte) che dovrebbero stare alla base della civiltà e che nella società di oggi, a suo parere, non contano più.