Riconciliazione

Eccomi di nuovo qui, come una rondine che torna al nido, in questo giardinetto abbandonato da mesi. Una rondine a dire il vero un poco sciocca, perché incapace di orientarsi con le stagioni. Il terreno è infatti ormai asciutto, l’erba ingiallita, le foglie cadute da un pezzo. Il verde scomparso dal pollice e da qualsiasi orizzonte. Tutto questo a dispetto delle belle giornate di sole, che hanno prolungato ad oltranza l’estate. Ma se fuori, lungo le strade, c’è uno spettacolo di luci e colori favorito da un’aria ancora tiepida, nel giardinetto in questione proprio no, qui ogni cosa è rimasta nell’ombra ed è quasi appassita, e tentare adesso di rinvigorire il terreno, di riconcimarlo ben bene per rimetterlo in sesto, richiederebbe una forza sovraumana che in realtà non mi appartiene e nella quale non mi riconosco affatto. Meglio allora attendere l’arrivo dell’inverno, che con il suo manto bianco e silenzioso prolungherà i tempi dell’attesa. Forse qualcosa di buono comincerà a ricrescere dalla punta delle radici e avanzerà poi verso l’alto, fino a trovare lo spiraglio adatto…

Continua a leggere Riconciliazione
Pubblicità

Lago in calma

No. Non si può salire: il vuoto enorme
grava su noi, quella gran luce bianca
arde e consuma l’anima.
Non vedi come prone
stanno le cime e come densi i pini
nella valle precipitano?
Non impeto d’ascesa
sferza le vette ad assalir l’azzurro,
ma paurosa immensità di cielo
le respinge, le opprime.
S’annidano, rattratti, nelle conche
i nevai, disciogliendo
sui nudi prati, fra gli abeti neri
trecce argentee di rivi,
come un canoro sospirar di pace
verso il lago lontano.
Restiamo presso il lago, anima cara;
restiamo in questa pace.
Guarda: il cielo, nell’acqua, è meno vasto,
ma più mite, più vivo.
Noi entreremo in questa vecchia barca
tratta in secco sul lido:
i remi sono infranti, ma giacendo
sul fondo basso, non vedrem la terra
e l’onda, percuotendolo da prora,
darà al legno un alterno dondolio
che fingerà l’andare.
Salperemo così, da questi blandi
pendii che odoran di ginepro: andremo
con tutto il sole sovra il petto, il sole
che riscalda e che nutre;
andremo, lenti, in un bianco pio sogno
di sconfinata pace,
verso ignorate spiagge,
col nostro amore solo.

ledro1a
Lago di Ledro (TN), 29 luglio 2019


Note a margine:

La lirica, tratta dal volume “Parole – Tutte le poesie” (edizioni Ancora, 2005, pp.130-131), è stata scritta da Antonia nell’agosto del 1930, mentre si trovava a Silvaplana, un comune svizzero dell’Alta Engadina. Facile immaginare che proprio l’omonimo lago, che a quei tempi concedeva un’atmosfera intima e assorta, abbia contribuito non poco alla nascita di questi meravigliosi versi. La Pozzi, del resto, amava e spesso cercava il silenzio dell’alta montagna, il contatto con quei luoghi della natura dove è ancora possibile rigenerarsi, osservarsi ed ascoltarsi dentro stando lontani da vincoli e ingerenze esterne, e da qualsiasi tipo di rumore che non sia quello del vento o del nostro stesso respiro, del battito del nostro cuore…

In questa pagina un breve excursus sull’opera pozziana, esaminata alla luce del suo rapporto con la natura e in particolare con la montagna.

Qui la possibilità di scaricare gratuitamente la raccolta poetica di Antonia Pozzi (curata da Alessandra Cenni e Onorina Dino), grazie alle iniziative promosse dall’associazione culturale Liber Liber.

 

Dedicate alla montagna

Antonia Pozzi non fu solo poetessa, ma anche alpinista. La montagna era per lei un’ascesa tanto reale quanto metaforica, come testimoniano le intense e vibranti liriche – a tratti quasi mistiche, senza avere l’intenzione di esserlo – dedicate alla Valsassina e alle alpi lecchesi, in particolare alla zona di Pasturo, che considerava luogo d’elezione per l’anima. Del resto in questi posti ci aveva trascorso fin dall’infanzia i periodi estivi con la famiglia, abbandonandosi a corse nei prati e perlustrazioni di sentieri che, tra boschi di aceri e abeti, la conducevano fino alle pendici della Grigna, dove si inerpicava alla scoperta di anfratti e rocce, alla ricerca di piante e fiori, di profumi e rumori (il vento, il tonfo dei sassi nei ruscelli, i versi degli animali), fino a provare uno stordimento che sfociava in puro pensiero, in libera fantasia, e che più avanti nel tempo sarebbe diventato parola interiorizzata e meditata, verso poetico.

Già a diciassette anni Antonia aveva dedicato alle vette una splendida poesia (qui la pagina dove poterla leggere), dopo una scalata sulle Dolomiti di Brenta con Oliviero Gaspari, nota guida alpina dell’epoca (si parla dell’agosto 1929). Ecco come descrive in una lettera, all’amatissima nonna “Nena” (Maria Gramignola, nipote dello scrittore Tommaso Grossi), questa sua esaltante esperienza, che verrà poi traslata nella poesia sopra linkata:

«[…] ho fatto la mia prima ascensione di roccia […] E, credi, la montagna è una palestra insuperabile per l’anima e per il corpo. Nel salire non si è che carne pieghevole e istinto felino aggrappati alla rupe pungente: a palmo a palmo, con l’arcuata tensione delle dita, con la piatta aderenza delle membra, si guadagna la roccia. E poi, in vetta, quando ti vedi intorno un anfiteatro di guglie e di ghiaccio, o, da una cengia esilissima, guardi, sotto lo strapiombo, affogata nella fluidità vertiginosa, la falda verde da cui balza il getto estatico di massi che hai conquistato, allora un’ebbrezza folle t’invade e l’adorazione selvaggia della tua fragilezza ardente che vince la materia. Eppure, là in alto, anche la materia, la colossale materia che ci attornia, non sembra inerte ed ostile, ma viva ed amica: e le guglie pallide non sembrano monti, ma anime di monti, irrigidite in volontà d’ascesa» (dal libro Ti scrivo dal mio vecchio tavolo, Lettere 1919-1938, edizioni Ancora, 2014).

Continua →

Dolomiti, anime di monti

 

Non monti, anime di monti sono
queste pallide guglie, irrigidite
in volontà d’ascesa. E noi strisciamo
sull’ignota fermezza: a palmo a palmo,
con l’arcuata tensione delle dita,
con la piatta aderenza delle membra,
guadagniamo la roccia; con la fame
dei predatori, issiamo sulla pietra
il nostro corpo molle; ebbri d’immenso,
inalberiamo sopra l’irta vetta
la nostra fragilezza ardente. In basso,
la roccia dura piange. Dalle nere,
profonde crepe, cola un freddo pianto
di gocce chiare: e subito sparisce
sotto i massi franati. Ma, lì intorno,
un azzurro fiorire di miosotidi *
tradisce l’umidore ed un remoto
lamento s’ode, ch’è come il singhiozzo
rattenuto, incessante, della terra.


* pianta erbacea dai fiorellini azzurri più conosciuta con il nome “nontiscordardimé”

Video realizzato nell’agosto 2016, nell’ambito del festival culturale d’alta quota “Mistero dei monti”, per omaggiare la poetessa milanese Antonia Pozzi, che amava scalare e fotografare le vette immergendosi nel loro silenzio. Le Guide alpine, adoperando abiti e materiali dell’epoca (tra i quali la corda di canapa), sono salite in vetta al Castelletto Inferiore seguendo la Via Normale dal rifugio Tuckett, ripercorrendo così il percorso fatto da Antonia a soli diciassette anni. All’indomani della salita (13 agosto 1929), la poetessa aveva dedicato a questa esperienza delle parole molto intense e vibranti, così come rievocate nel video sullo sfondo dei profili rocciosi, imponenti e abbaglianti, delle Dolomiti di Brenta.
Il Festival “Mistero dei monti” viene promosso ogni anno dall’Azienda per il Turismo Madonna di Campiglio Pinzolo Val Rendena; qui la pagina per eventuali informazioni sull’imminente programma estivo (5-19 agosto 2017).

La poesia, intitolata Dolomiti, è stata tratta dal libro “Parole” pubblicato dalla casa editrice Ancora. Una raccolta preziosa e completa di tutta l’opera pozziana, curata da Gabriella Bernabò e Onorina Dino, di cui parlerò a fondo in uno dei prossimi articoli.

Antonia Pozzi, una poesia

Anima, sii come il pino:
che tutto l’inverno distende
nella bianca aria vuota
le sue braccia fiorenti
e non cede, non cede,
nemmeno se il vento,
recandogli da tutti i boschi
il suono di tutte le foglie cadute,
gli sussurra parole d’abbandono;
nemmeno se la neve,
gravandolo con tutto il peso
del suo freddo candore,
immolla le fronde e le trae
violentemente
verso il nero suolo.
Anima, sii come il pino:
e poi arriverà la primavera
e tu la sentirai venire da lontano,
col gemito di tutti i rami nudi
che soffriranno, per rinverdire.
Ma nei tuoi rami vivi
la divina primavera avrà la voce
di tutti i più canori uccelli
ed ai tuoi piedi fiorirà di primule
e di giacinti azzurri
la zolla a cui t’aggrappi
nei giorni della pace
come nei giorni del pianto.
Continua →