
Ci troviamo in Portogallo, nel XVIII secolo. Giovanni V si impegna due sere a settimana ma non c’è nulla da fare, Maria Anna Giuseppa d’Austria non ne vuol sapere di rimanere incinta. Sembra quasi una beffa del destino, visto che al di fuori del letto nuziale il re ingravida con grande facilità a destra e manca, al punto di aver disseminato decine di bastardi per tutto il regno. Ma Dio è grande. Un giorno, infatti, giunge alla corte un francescano che gli assicura che presto vedrà la nascita di un erede, basta che in cambio il sovrano si impegni a costruire un convento nella città di Mafra. Il re non ci pensa due volte, ne fa solenne promessa e in breve tempo il Signore, quello che sta nell’alto dei cieli, gli concede l’agognato erede, seppur femmina, colei che poi sarà la principessa Maria Barbara.
Sembra quasi una favola, invece si tratta di una vicenda che ha veramente coinvolto la corona portoghese dando l’avvio all’edificazione dell’imponente edificio di Mafra, costituito da un palazzo, da un convento per trecento religiosi e da una basilica di dimensioni tali da competere con quella di San Pietro. Perché Giovanni V, diciamolo pure, un tantino megalomane lo era. Fatto sta che tale costruzione richiese anni di duro lavoro e migliaia di uomini trattati come schiavi, sorvegliati dai soldati e costretti ad un lavoro semi-forzato. Uomini che spesso ci lasciavano la pelle, per la fatica e il rischio che tale impresa comportava.
Ma in fondo, lo sappiamo, la storia è sempre quella da quando è nato il mondo, i nobili e i regnanti da una parte, a sguazzare nei lussi e negli sfarzi, con la benedizione di un clero spesso compiacente se non perfino machiavellico, e i miserabili della plebe dall’altra, a sudare nei campi, a mangiare patate, a svolgere i lavori più faticosi e sgradevoli. Lisbona, come scrive ironicamente l’autore, è una bocca che mastica troppo da una parte e troppo poco dall’altra, non essendoci quindi una via di mezzo tra il gozzo pletorico e il collo raggrinzito, tra il naso rubicondo e l’altro tisico, tra la chiappa ballerina e quella floscia, tra il ventre pieno e la pancia appiccicata alle costole.