Cortázar #3 – Materiale plastico

Ultimo brano di Cortázar che propongo. Poi vado a rituffarmi nelle pagine dove sguazzavo fino a poco tempo prima, che di romanzi iniziati, a metà o quasi conclusi, ne ho parecchi in ballo. Alcuni già digeriti ed elaborati, a dire il vero, ma se voglio recensirli devo per forza ricaricare le batterie. Fino a qualche giorno fa, con il caldo che faceva, erano completamente a terra, adesso che l’aria è lievemente rinfrescata sembrano ridare segnali d’attività… Mah! Speriamo.
Tornando allo scrittore argentino, che mi piace identificare nella figura per eccellenza del cronopio (vi ricordate? quello che sovverte le regole, che scarabocchia fuori dai margini), guardate un po’ cos’ha tirato fuori, stavolta, dal suo cilindro magico senza fondo… Un testo di straordinaria bellezza, che vi consiglierei di leggere subito, ancor prima della mia introduzione (saltate qualche riga e andate giù, giù, ancora più sotto, poi tornate qui che vi aspetto 🙂 ).

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Cortázar #2 – Occupazioni insolite

Ah, questo brano, una delizia per la mente! Un distillato di ingegnosa e sottile ironia, da maneggiare però con le dovute cautele… Che non vi venga infatti la tentazione di farla, questa cosa, che non vi passi per la testa l’idea di provarci! State ben lontani dai lavandini, mi raccomando, e trovate un altro modo, più semplice e meno dispendioso, di passare il tempo libero e contrastare quella smania, tipicamente tutta umana, di ottenere risultati utili da qualsivoglia azione. Capisco quell’ineffabile piacere, simile all’orgasmo, nel caso di un improbabile colpo di fortuna (dopo una serie di manovre tanto azzardate!), ma se la ruota dovesse invece girare da un’altra parte, come pensereste poi di cavarvela, moralmente parlando? Non prendo neppure in esame l’aspetto economico dell’impresa, perché è scontato che, seguendo il percorso via via illustrato, ci si ritroverebbe in braghe di tela in men che non si dica. Cosa dite!!? Che volete provaci lo stesso? Che volete cedere all’ebbrezza del futile, del follemente inutile, così da pregustare il sapore di un’improbabile futura vittoria mentre un brivido di paura vi scorre lungo la schiena, mentre il sudore vi imperla la fronte nel bel mezzo di tanta sciagurata fatica? Va be’, fate come volete, poi non venite a dirmi che non vi avevo avvertito 😉

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Cortázar #1 – Manuale di istruzioni

Per parlare di Julio Cortázar e della mirabolante inventiva scaturita dal suo cervello non basterebbe una decina di post. Pertanto, nell’attesa di trovare la forza per confezionare un articolo come si deve, mi accontento di proporvelo a pizzichi, a piccoli assaggi, certa del fatto che non vi lascerà indifferenti. Su di me, devo ammetterlo, ha un effetto straniante. Le sue storie infatti, oltre a mandarmi in solluchero le cellule neuronali, mi staccano dalla realtà in cui sono immersa, o meglio mi aprono nella mente visioni alternative (e mai banali) della stessa. Leggere Cortázar è come imboccare una strada che, nonostante la presenza di qualche cartello segnaletico, non sai in realtà dove ti porta. È un’avventura mentale, per dirlo in altri termini. Un invito ad osservare i lati più insospettabili del mondo, delle cose e della vita, con un modo di presentarli che non è privo di aspetti divertenti. E neppure privo di senso, di significato. Perché anche questo, a ben vedere, c’è. Magari non è subito così palese, immediato, ma alla fine si scorge qualcosa al di sotto dell’apparente leggerezza delle parole, del loro tono quasi giocoso, un qualcosa che avvince e travolge, a volte anche spiazza.

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Pòlinka, o dell’impossibilità di governare le emozioni

Ritorno a Čechov, di cui ogni tanto leggo o ripesco un racconto… Ve ne propongo uno che mette di nuovo a confronto l’universo maschile con quello femminile, con i loro diversi modi di sentire e interagire, un po’ come accadeva ne Uno scherzetto ma con alcune differenze. In questo caso i sentimenti di fondo traspaiono in modo più evidente sia da una parte che dall’altra, anche se camuffati con grande sforzo. Vorrebbero certamente esplodere ma vengono trattenuti sotto una maschera di finta gaiezza, quella sbandierata dal commesso, ossia dal protagonista maschile del racconto, che più alza la voce per gridare i nomi e i prezzi della merce, più alimenta l’agitazione sua e della povera ragazza piangente. Che, suo malgrado, si sente attratta da un altro giovane ma nello stesso tempo si rivela incapace di assumere una posizione netta e decisa nei confronti del suo nervosissimo interlocutore, per il quale forse prova ancora dei sentimenti, o perlomeno un mix di emozioni contrastanti…

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Portrait of Maria Lvova, Valentin Serov, 1895, fonte wikiart.org

Un racconto bellissimo, in cui risalta al massimo la capacità cechoviana di tratteggiare con una sensibilità tutta moderna – quindi godibile anche per noi lettori di oggi – la difficoltà di due cuori che non riescono assolutamente ad intendersi, destinati pertanto a un’inevitabile sofferenza.
Notate, così, en passant, la punta di perfidia del commesso, che, incapace di accusare il colpo, cerca tra un discorso e l’altro di demolire agli occhi della ragazza l’immagine dell’altro spasimante, e non abbastanza pago, cerca anche di convincerla di non essere all’altezza delle esigenze culturali dello stesso, né delle ambizioni che lo muovono. Giusto per mortificarla un po’, con l’intento evidente di dissuaderla. E notate con quanta sottile arte Čechov porta avanti due conversazioni in parallelo, quella privata e più sommessa che avviene tra i due giovani e quella pubblica e più ostentata che si manifesta nel rapporto con la clientela del negozio, tramite la quale il commesso cerca di dissimulare il più possibile, sotto una vivace rassegna di merletti, piumini e bottoni, non solo l’ansia della fanciulla ma anche il nervosismo che sente crescere in sé.
Una situazione per niente facile da rendere con efficacia in un contesto narrativo, per cui Čechov merita come minimo un doppio applauso! Ma era solo un medico condotto o era anche un fine psicologo, quest’abile scrutatore dell’animo umano?

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Di Cortázar, cioccolato, musica rilassante e altre amenità

Questo è un post zuccheroso e disimpegnato, infiocchettato qua e là di sollecitazioni bonarie, o per meglio dire scherzose, anche se non manca un sottofondo di serietà. Solo per farvi sapere che non sono emigrata su un altro pianeta ma sono sempre qui, semisdraiata languidamente sul mio divano sotto chili di libri, con fogli appuntati sparsi e appiccicati ovunque, anche sui capelli, con i pensieri che divagano dall’amatissimo Heinrich Böll, di cui presto pubblicherò qualcosa (a proposito, chi tra voi ha letto L’angelo tacque, ambientato nella Germania dell’immediato dopoguerra? al solo ricordo mi sento rimescolare dentro), fino al sorprendente (anzi, più che sorprendente) Julio Cortázar, per me ancora tutto da esplorare, in termini di opera omnia, anche se dopo aver letto tra un picco di febbre e l’altro cinque dei suoi racconti mi vedo già costretta ad una resa incondizionata, sedotta senza appello da uno stile che definirei incomparabile. Mi sono anche chiesta come io abbia potuto vivere, fino ad oggi, senza la consapevolezza della sua esistenza, senza avere attinto neppure una goccia dal calderone stratosferico della sua narrativa, e davvero non so cosa rispondermi…
A dire il vero qualche tempo fa una gentile fanciulla, che oltretutto scrive molto bene, mi aveva annunciato che sarebbe stato Cortázar ad agganciarmi, non viceversa, e mai previsione è stata più azzeccata. Come faccio, adesso, a liberarmi da una tale infatuazione? Non me ne libero, lascio invece che mi travolga, mi sommerga, mi spazzi via. Dovevo evidentemente aspettare che uscisse un po’ del cronopio che c’è in me per poter apprezzare il cronopio per eccellenza, vale a dire colui che mi avrebbe aperto le porte a un modo-mondo “diverso” di fare letteratura, lo scrittore Julio Florencio Cortázar Descotte per l’appunto, nato a Bruxelles nel 1914 da genitori argentini e morto a Parigi nel 1984, città dove risiedeva dagli anni ‘50 perché contrario alla politica dittatoriale di Juan Perón. Dovevo passare lo scoglio degli “anta” (ma solo perché sono una sprovveduta) per scoprire uno scrittore il cui talento è stato spesso paragonato a quello di Čechov, nondimeno a quello di Edgar Allan Poe, autore che Cortázar leggeva con particolare ingordigia fin da bambino e che senza dubbio ha contribuito a infondergli il gusto per il magico, il metafisico e talvolta per l’horror, che poi lui mescolava sapientemente alla realtà quotidiana per raccontare il Sudamerica attraverso una prosa elegante e musicale.

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Il cattivo lettore

Ricollegandomi al post precedente, mi sento di riconfermare l’incanto suscitato dalla scrittura di Amos Oz, di cui sto leggendo Una storia di amore e di tenebra. Non mi era mai capitato di passare con tanta facilità dalla commozione al sorriso e poi di nuovo dal sorriso alla commozione, tutto nel giro di una pagina, di un breve battito d’ali… Il modo in cui l’autore rielabora alcuni episodi della sua infanzia e del rapporto avuto con la madre, morta suicida quando lui era ancora bambino, è talmente schietto e sentito, pieno di rabbia e dolore ma anche carico di profondo e smisurato amore (oltre che incline allo scavo interiore nel tentativo di capire, di lenire le ferite), che è impossibile riuscire a renderlo in un modo degno in un post, bisogna proprio leggerle, quelle vibranti ed emozionanti pagine, per rendersi conto della loro effettiva portata.
L’incanto del romanzo consiste anche nel fatto che è costellato di episodi curiosi, se non perfino bizzarri e movimentati, come quello che vede l’autore, bambinetto curioso, inoltrarsi nei meandri di un negozio arabo tra selve di tessuti e abiti fluttuanti, “un dedalo di sentieri tiepidi, penombrosi, profumati e densi”, perché attratto dalla comparsa di una piccola misteriosa fanciulla: qualcuno l’ha letto e se lo rammenta, questo magnifico brano? Impossibile dimenticarselo, dal momento che tiene col fiato sospeso fino all’impensata, divertente e per certi versi terrificante conclusione! Mentre in altre pagine i riferimenti interessanti a titoli/autori poco conosciuti, almeno nel nostro paese, fanno nascere anche nel lettore più infiacchito il desiderio di saperne di più… Stuzzicata a dovere, mi sono infatti procurata un libro di Shamuel Yosef Agnon, di cui magari avremo modo di parlare in altra occasione.
Adesso vi propongo invece un altro brano di Amos Oz, quasi una sorta di piccolo saggio incastonato nel romanzo, piacevolissimo da leggere e sempre attuale per le riflessioni avanzate, che oltretutto ci riguardano poiché rivolte a noi lettori… Un pezzo così sagace, brillante e anche ironico nel modo di sviscerare il nostro rapporto con la lettura, che di mio non vorrei proprio aggiungere altro, lasciando semmai spazio alle vostre opinioni, se e quando ci saranno.

Buon divertimento! E soprattutto buone riflessioni, alla faccia dell’estrema ondata di caldo che fa sudare, ansimare (e anche imprecare) i nostri già spossati neuroni.

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L’arte della combinazione

Da circa un mese sto leggendo, con pigra lentezza e senza l’ansia di finirlo anzitempo, nonostante mi incuriosisca ad ogni giro di pagina, il resoconto autobiografico di Amos Oz, scrittore israeliano già noto da tempo nel nostro paese per i numerosi romanzi tradotti e pubblicati e anche per un bellissimo saggio, intitolato Contro il fanatismo, che vi consiglio caldamente di leggere. Impegnato anche lui da anni nel processo di pace in Medioriente sulla scia dei conterranei, amici e colleghi di penna, Abraham B. Yehoshua e David Grossman.

L’autobiografia in questione, di cui oggi presento un brano tra quelli iniziali, ripercorre la vicenda familiare dello scrittore a partire dalla sua infanzia, trascorsa a Gerusalemme nel periodo del protettorato britannico, fino agli eventi storici e collettivi che hanno visto la nascita dello Stato di Israele, approvato dall’ONU nel 1947 e causa primaria delle tensioni ancora oggi irrisolte fra arabi e israeliani. Le famiglie dei nonni e dei genitori di Amos Oz, pseudonimo di Amos Klausner, erano una delle tante famiglie ebree costrette a lasciare l’Europa centrale negli anni ’30 per sottrarsi alle prime persecuzioni naziste, approdate in Palestina con la speranza di trovarvi la terra promessa. Il romanzo segue poi sul filo della memoria molti altri avvenimenti, slittando spesso avanti e indietro nel tempo e intercalandoli, in modo inaspettato ma sempre piacevole, con digressioni sui libri, sulla lettura, sugli scrittori dell’epoca o su altri interessanti argomenti, dando vita a episodi anche vivaci e spassosi, ma avendo letto fino ad oggi poco più di duecento pagine, su un totale di circa seicento, e sapendo che mi attende anche una parte dolorosa da affrontare, legata al suicido di una persona molto cara allo scrittore, evito di aggiungere altre considerazioni… E mi appresto invece a condividere con voi il brano qui selezionato, che riesce a mettere bene in luce, col pretesto del riordino dei libri, l’importanza di saper cogliere le varie sfaccettature di una data realtà, per poi scegliere, tra le tante opportunità che si presentano, una o più possibili combinazioni, ma senza soffermarsi su quelle che possano apparire più immediate e scontate, magari per una loro presunta (quanto spesso fallace e illusoria) proprietà di grandezza.
Insomma, la biblioteca è come una sorta di metafora della vita e, in un significato ancora più esteso, l’arte della combinazione pare proporsi come un dissuasivo all’intransigenza del pensiero, una salvaguardia da vedute troppo univoche e ristrette e quindi da possibili cadute nel radicalismo. L’elasticità mentale non basta, ovviamente, a scongiurare il pericolo del fanatismo, ma senza dubbio l’educazione alla stessa consente di fare notevoli passi avanti. Come appunto Amos Oz fa intendere in quell’altro suo libro, il bellissimo saggio citato all’inizio del post.
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La quinta candela

Tel Aviv, Israele. Siamo nella settimana di Hanukkah, la festa delle luci che cade tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre, quando ogni sera, nelle case e famiglie ebree, si accendono i lumi di un candelabro a nove bracci per rinnovare la volontà di sopravvivere del popolo ebraico e celebrare il dominio della luce sull’oscurità.
Amotz Yaari, dopo una giornata gravida di impegni lavorativi, si appresta a passare la notte con Nadi e Neta, i piccoli nipoti di due e cinque anni, in modo da concedere alla nuora, la bella e irrequieta Efrat, una serata libera da passare con gli amici. Suo figlio Moran, sposato con Efrat da qualche anno, è partito come riservista nei territori occupati, mentre sua moglie Daniela, più avvezza a fare da baby-sitter ai nipotini, è volata in Africa per alcuni giorni… Quello che nonno Yaari ancora non sospetta è che da lì a poco, appena la bella nuora sarà scomparsa oltre la soglia, risucchiata come una falena nella notte israeliana, lui si troverà costretto ad affrontare una serie di piccole burrasche, con tanto di venti forti e mare mosso…
Non serve aggiungere altro, se non lasciarvi in compagnia di queste deliziose e movimentate pagine, estratte da un capitolo di “Fuoco amico”, nelle quali molti di voi, ne sono certa, avranno la possibilità di riconoscersi almeno in parte, nonni o genitori non fa poi tanta differenza. Chi ha avuto a che fare almeno una volta nella vita con i capricci dei bambini piccoli sa bene di cosa parlo, e probabilmente si troverà a sorridere o a rabbrividire, a seconda dei casi, di fronte all’episodio che fra poco lo travolgerà…

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