Diletti Fratelli,
ecco un esempio di proporzioni sbagliate:
di fronte a noi si erge uno scheletro di dinosauro –
Cari Amici,
a sinistra la coda verso un infinito,
a destra il collo verso un altro –
Egregi Compagni,
nel mezzo quattro zampe che affondarono nella melma
sotto il dosso del tronco –
Gentili Cittadini,
la natura non sbaglia, ma ama gli scherzi:
vogliate notare questa ridicola testolina –
Signore, Signori,
una testolina così nulla poteva prevedere,
e per questo è la testolina di un rettile estinto –
Rispettabili Convenuti,
un cervello troppo piccolo, un appetito troppo grande,
più stupido sonno che assennato timore –
Illustri Ospiti,
in questo senso noi siamo assai più in forma,
la vita è bella e la terra ci appartiene –
Esimi Delegati,
il cielo stellato sopra la canna pensante,
la legge morale dentro di lei –
Onorevole Commissione.
è andata bene una volta
e forse soltanto sotto quest’unico sole –
Altissimo Consiglio,
che mani abili,
che labbra eloquenti,
quanta testa sulle spalle –
Suprema Corte,
che responsabilità al posto di una coda –
Già, davvero una bella responsabilità, quella dell’essere umano. Spesso elusa, scansata, onorata solo in parte o tradita nei propositi iniziali. Deviata dal richiamo del tornaconto personale, delle ambizioni politiche, delle manie di grandezza. Al punto che viene da chiedersi se non sarebbe forse stato meglio che ci fossimo estinti noi umani al posto dei dinosauri e non viceversa. Chissà che mondo ne sarebbe venuto fuori. Certo, il tirannosauro rex non avrebbe smesso di aggredire le bestie più deboli o di taglia piccola, ma quantomeno lo avrebbe fatto per fame, per puro istinto di sopravvivenza, non per assoggettarle al suo volere, schiavizzarle, maltrattarle, piegarle con la forza al suo pensiero, derubarle della terra e di ogni bene, non per sfruttarle economicamente o massacrarle sull’altare di qualche perversa ideologia, magari solo perché di etnia diversa…. E ancor meno per assecondare l’insana vocazione di ripristinare i confini imperiali di Pietro il Grande.
Possiamo forse immaginarcelo un tirannosauro nei panni di uno Stalin o di uno Hitler, nelle braghe di un Pinochet o in quelle attuali di Putin? No, semmai è più facile immaginare il contrario, visto che tutti i personaggi nominati sono stati (o sono tutt’ora) degli usurpatori passati alla storia per la loro sete di dominio e per la loro crudeltà. “Criminali di guerra”, questo l’epiteto più elegante con cui oggi vengono apostrofati, anche se al loro cospetto perfino i dinosauri, quelli veri, sbiancherebbero. Beh, non ho idea di come sarebbe andata a finire con i rettili giurassici al posto dell’uomo nel corso evolutivo del nostro pianeta, nel caso i meteoriti non fossero arrivati anzitempo a fare piazza pulita, ma a me pare che proprio per il fatto di avere una coscienza, ossia per essere in grado di discernere tra bene e male e quindi di saper valutare il peso morale del proprio agire, l’uomo dovrebbe predisporsi in un certo qual modo nei confronti dell’ecosistema in cui si trova immerso. Che diavolo se ne fa, altrimenti, di una coscienza? Se la porta addosso cosi, come un orpello inutile, come una stola di Chanel buttata sulle spalle? Allora tanto valeva nascere e restare un dinosauro, oppure un’alga, meglio ancora un’ameba. Perché un conto è uccidere in assenza di pensiero etico e per puro istinto di sopravvivenza, come può accadere appunto agli animali, e un’altra cosa è uccidere per interesse e in modo deliberato. C’è una bella differenza, non serve neppure ribadirlo.

Detto questo, vorrei evitare di aggiungere altro su questi nostri malaugurati tempi. Già in tanti ne parlano, del conflitto in Ucraina, e spesso anche a sproposito, come gli opinionisti dell’ultima ora che passano il tempo a bacchettarsi a vicenda nei salotti televisivi per questioni di lana caprina, al punto che ti viene il dubbio che siano perfino contenti di avere un nuovo tema caldo su cui discettare per settimane, magari per mesi, così da sostituirlo a quello del covid che sta ormai passando di moda. Ma voglio appunto evitare di lasciarmi andare a considerazioni che tradirebbero la mia insofferenza per alcuni atteggiamenti e per un certo tipo di persone (tra le quali anche i pro-Putin e i pacifisti ad oltranza, entrambi del tutto incapaci di mettersi nei panni di un popolo che è stato aggredito e che viene massacrato senza pietà ad ogni ora che passa, ed entrambi alla ricerca di continui pretesti per suffragare le proprie convinzioni) e perciò ritorno con grande piacere ai versi pubblicati all’inizio del post, che almeno hanno il merito di dire molto e anche di più sul compito delicatissimo che spetta, o meglio spetterebbe all’uomo in questo sconfinato e in gran parte sconosciuto universo. Una sintesi perfetta, a mio avviso, quella di Szymborska, dove i riferimenti alla legge morale di matrice kantiana e alla canna pensante di pascaliana memoria consentono, anche a noi lettori, di guardare con occhio ironico-indulgente alla condizione umana, che in effetti è sempre in bilico tra alte aspirazioni e possibili ripetute cadute.
il cielo stellato sopra la canna pensante,
la legge morale dentro di lei
Da una parte abbiamo quindi Kant, che si riempiva l’animo di ammirazione e venerazione quando osservava il cielo stellato sopra di sé e rifletteva sulla legge morale che guida da dentro le azioni umane (così nel pezzo conclusivo della Critica della ragion pratica), dall’altra abbiamo invece Pascal, che metteva in luce anche gli aspetti più deboli e contradditori dell’uomo (da qui l’immagine della canna, che tende a piegarsi facilmente di fronte alle intemperie), pur con la convinzione che fosse possibile trovare una guida nella propria coscienza e nell’uso corretto del pensiero, oltre che nella consapevolezza della propria vulnerabilità. Insomma, per dirla in altri termini, e soprattutto per dirla alla mia maniera, se la canna pensante, ossia l’uomo, avesse da sempre coltivato e onorato la legge morale dentro di sé, l’intelligenza di ognuno sarebbe oggi al servizio esclusivo del benessere collettivo e il mondo apparirebbe come un vero paradiso in terra. Se la canna pensante avesse riconosciuto da tempo la propria fragilità senza stizza e paura e senza approfittare di quella dei suoi simili per sentirsi ogni volta più in alto di un gradino, il mondo sarebbe già da secoli un posto che farebbe schiattare d’invidia tutte le schiere di serafini e cherubini che compaiono nei quadri di Giotto. Ma tutto questo non è appunto avvenuto, e da qui l’ironia implicita del verso.
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Dispiace però constatare quanto l’uomo sia arrivato fin sull’orlo del baratro, con i minuti che appaiono sempre più contati. Non solo a causa della guerra in corso, che minaccia conseguenze dagli effetti incontenibili se procede di questo passo, con il rischio di presentarci un mondo dove presto non ci saranno né vincitori né vinti, ma anche per il problema sempre più grave dell’inquinamento, dello sfruttamento dissennato delle risorse naturali e degli sconvolgimenti climatici, quest’ultimi da intendere anche come reazione dell’ambiente alle nostre forzature nei suoi confronti. E poi, ancora, abbiamo la tecnologia al servizio della morte, indirizzata alla costruzione di congegni sempre più micidiali e sofisticati. Spesso con la scusa di una difesa preventiva che in realtà è poco chiara e quasi sempre ingiustificata, se non farneticante. Più facilmente per mire economiche o aspirazioni geopolitiche deliranti. Un’intelligenza quindi spesso sprecata, quella dell’uomo, schiava della paura o dell’ingordigia o di entrambe le cose. Ossessionata dall’idea di doversi difendere tout court da possibili nemici e allo stesso tempo sempre tesa a conquistare, ad inglobare, ad assicurarsi nuovi spazi vitali, schiacciando all’occasione chi si trova di mezzo. Pronta a recidere per convenienza o per deliri di onnipotenza quei diritti democratici fondamentali (libertà di coscienza, libertà religiosa, libertà di stampa e di manifestazione del pensiero, libertà di riunione e di associazione) che dovrebbero invece essere alla portata di tutti e accomunare ogni essere vivente di questo pianeta, senza se e senza ma, senza distingui di sorta. Ne sanno ben qualcosa anche i russi che hanno tentato, nelle ultime settimane, di scendere in piazza per manifestare a favore della pace, subito picchiati o incarcerati. E ne sanno ancora di più i giornalisti svincolati dai diktat del regime, che da anni tentano con coraggio di condurre delle inchieste tese a disseppellire i crimini di Stato, anche loro spesso incarcerati se non perfino avvelenati o fatti sparire.
Penso, ad esempio, alla giornalista attivista Anna Stepanovna Politkovskaja, assassinata nel 2006 per le inchieste che stava conducendo sulle torture commesse dalle forze di sicurezza cecene, e penso anche al dissidente Alexei Navalny, più volte arrestato con false accuse ma in realtà con lo scopo di punirlo per aver denunciato, a partire dagli anni 2000, la corruzione dell’amministrazione e dell’oligarchia russa, e adesso di nuovo in carcere, condannato ad altri nove anni. Ma non sono gli unici; sono tanti (e sempre più) i giornalisti russi che ricevono intimidazioni o vengono perseguitati per diffamazione se solo osano proferire una parola di troppo. Nella Russia di Putin non c’è spazio per le libertà d’espressione e d’informazione, perché tali diritti andrebbero a mettere in discussione “la narrazione” del sistema, e fornirebbero anche gli argomenti per confutarla, rivelandone gli inganni e tutte le montature. Un sistema oppressivo di controllo che va avanti da più di un decennio, durante il quale le autorità hanno sondato la resistenza della società ad ogni ulteriore provvedimento di restrizione adottato, al punto che adesso è ancora più arduo liberarsene in favore di un reale cambiamento.
Ed è proprio notizia di questi giorni che la mannaia sull’informazione si è fatta ancora più spessa e tagliente; sono infatti 15 anni di carcere per chiunque si azzardi ad usare la parola “guerra”, “offensiva” oppure “invasione” al posto di “operazione militare speciale”. Insomma, la situazione è purtroppo questa, con l’opinione pubblica russa che è ormai divisa tra i sostenitori di Putin e dell’intervento in Ucraina, perché in gran parte condizionati dalla propaganda e all’oscuro dei fatti reali, e un’opposizione soffocata che tenta con grande coraggio di mandare dei segnali, di farsi sentire. Immaginate per un solo istante se anche nel nostro paese potesse accadere oggi una cosa simile. Qualcuno che sale al potere e toglie a tutti, in primis ai giornali, il diritto di critica e la libertà di discussione. Negli anni ‘20 qualcuno ci era riuscito, se ricordate bene (il Gran Somaro, la Pernacchia, il Fottuto di Predappio, per usare le parole dell’impareggiabile Gadda), ma poi alla fine della guerra ha pagato con la vita non solo gli errori tattico-strategici ma anche tutti i bavagli che aveva imposto alla cultura, all’arte, alla stampa, alla libera opinione. Tutto questo per dire che, in ogni tempo e in ogni luogo, qualsiasi popolo che ha subito delle prevaricazioni ha dovuto poi lottare, anche strenuamente, per liberarsi dalle stesse, e se il popolo ucraino sente di voler combattere per difendere la propria autonomia e i propri valori democratici è anche giusto, nei limiti del possibile, poter dare una mano, se questa viene esplicitamente richiesta. Senza dubbio concentrandosi al massimo nella direzione di ogni possibile trattativa per arrivare ad un accordo di pace e scongiurare il peggio, ma anche contribuendo con mezzi e strumenti per una legittima difesa, se questi scarseggiano e si rivelano di estrema importanza al fine della sopravvivenza.
A proposito di Anna Politkovskaja, la giornalista russa assassinata nel 2006 a colpi di pistola, guardate cosa aveva scritto (nel 2005!!) del Signor Vladimir Vladimirovič Putin: «Siamo solo un mezzo, per lui. Un mezzo per raggiungere il potere personale. Per questo dispone di noi come vuole. Può giocare con noi, se ne ha voglia. Può distruggerci, se lo desidera. Noi non siamo niente. Lui, finito dov’è per puro caso, è il dio e il re che dobbiamo temere e venerare. La Russia ha già avuto governanti di questa risma. Ed è finita in tragedia. In un bagno di sangue. In guerre civili. Io non voglio che accada di nuovo. Per questo ce l’ho con un tipico cekista sovietico che ascende al trono di Russia incedendo tronfio sul tappeto rosso del Cremlino». (La Russia di Putin, Adelphi).
Profetica? No, realista. Anna aveva infatti condotto svariate inchieste e reportage scottanti sulle repubbliche caucasiche (Cecenia, Daghestan ed Inguscezia), denunciando gli orrori perpetrati dall’esercito nei confronti della popolazione civile, e criticando senza mezzi termini il presidente Putin e i politici locali, “fantocci” di Mosca, quindi sapeva benissimo di cosa stava parlando. In questi giorni sto portando avanti un altro dei suoi libri usciti in Italia (Per questo, Adelphi) che consiglio a tutti di leggere, perché include la serie completa degli articoli che la giornalista russa aveva scritto dal 1999 al 2006 (anche pezzi inediti), raccolti dopo la sua morte dai familiari e dai colleghi di «Novaja Gazeta», il giornale indipendente presso il quale aveva lavorato negli ultimi tempi. Magari ne riparleremo, in qualche altra occasione, di questa donna valorosissima, una donna che aveva più volte contestato “anche” il clima di intimidazione instaurato dal governo di Putin contro la libertà di stampa e di parola, con la continua consapevolezza di rischiare ogni volta la vita.
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Mi viene adesso in mente un’altra poesia di Szymborska che per molti versi si collega al discorso che stiamo facendo, perché L’odio (tale anche il titolo) è un sentimento senza il quale la guerra avrebbe vita breve, un sentimento che si aggiunge al desiderio di prevaricazione e in qualche modo lo sostiene, ed è per questo che viene spesso istigato ad arte da una parte e dall’altra dei contendenti (gruppi etnici, sociali o religiosi che siano) con lo scopo di mantenere sempre accesi gli animi al fine di una vittoria. L’odio ha infatti il potere di offuscare la ragione e spesso si nutre dell’insoddisfazione di sé, che tende poi a sopperire con atti di rabbia e prevaricazione sull’altro, sul diverso da sé. Questo è ciò che sta cercando di fare anche Putin, ossia diffondere l’odio tra russi e ucraini; un’operazione però non sempre facile, visto che molti russi hanno parenti o amici ucraini sotto le bombe con i quali bene o male riescono a tenersi in contatto. E con i quali la falsa propaganda governativa non attecchisce granché.
L’odio alimentato dalla frustrazione è perciò il motore che fomenta ogni guerra, spesso camuffato da buone intenzioni o da mille altri pretesti. Un odio che, come scriveva Szymborska:
Diciamoci la verità:
sa creare bellezza.
Splendidi i suoi bagliori nella notte nera.
Magnifiche le nubi degli scoppi nell’alba rosata.
Innegabile è il pathos delle rovine
e l’umorismo grasso
della colonna che vigorosa le sovrasta.
Ed ecco di nuovo l’amarezza ironica di chi ha capito che l’uomo non sarà mai capace di rinunciare ad uno spettacolo simile, perché non vuole farlo. Ci sarà perciò sempre qualcuno, in questo nostro mondo, pronto a fomentare e alimentare guerre per soddisfare il proprio ego e la sete di dominio? Pronto a sfoderare attacchi missilistici e di artiglieria anche nei confronti di civili inermi e indifesi, contro donne, bambini, scuole, ospedali e strutture sanitarie, distruggendo interi centri abitati? Non abbiamo proprio via d’uscita da un tale abominio? Continueremo allora a fabbricare armi, compresa l’atomica, nell’intento di difendere i nostri confini e dissuadere altri popoli da possibili ingerenze, fino a quando non rimarrà neppure un’impronta della presenza umana sulla Terra? Sembrerà strano, ma a volte capita di spararsi nella testa una serie di domande come questa, una di quelle che di solito non trovano risposta, pur sapendo, come ben sapeva anche la nostra poetessa, che non ci sono domande più pressanti delle domande ingenue. Sono domande che infatti sollecitano altre domande più che delle risposte, e il rischio è poi quello di avere davanti a sé una serie di punti interrogativi più lunga del previsto, di cui non si intravede neppure la fine.
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Cambiando registro, ma restando sempre sul pezzo, giungo al capolinea con la proposta di un brano musicale. Uno di quelli che si fissano per sempre nella memoria, perché le canzoni che parlano della necessità di “trovare un riparo” (The floods is threat’ning / My very life today / Gimme, gimme shelter / Or I’m gonna fade away) dall’odio, dalla violenza e appunto anche dalla guerra (quella del Vietnam, all’epoca) sono in grado, come sappiamo, di risultare purtroppo sempre attuali e altresì sono anche capaci, per fortuna, di scuotere, commuovere o suscitare indignazione. Ed è allora con i rumorosi Rolling Stones che chiudo i battenti, certa che anche Szymborska, per quanto agli antipodi come stile, avrebbe apprezzato… Ho pochi dubbi su questo.
Solo due parole aggiuntive sul brano, Gimme Shelter (Dammi riparo), che apre il loro ottavo album intitolato Let it Bleed, pubblicato nel 1969. L’epoca, come detto, coincideva con quella della guerra in Vietnam, in escalation già dal 1965, e infatti il testo si presenta crudo e per molti versi disperato, addirittura martellante nel ritornello, quando ripete in modo ossessivo “It’s just a shot away” (È lontano solo uno sparo). Una canzone che parla quindi delle brutture del mondo e del bisogno di trovare un rifugio in cui nascondersi. Un rock dall’aria apocalittica ma anche un inno antimilitarista. All’epoca della sua uscita la cantante gospel di supporto era Merry Clayton, mentre nel video che ho condiviso, un live del 1997 (o del 1998?, non trovo riferimenti più precisi in rete), è sostituita dall’altrettanto talentuosa Lisa Fischer, che fin dagli anni ’80 (e per tutto il primo decennio del 2000) ha spesso duettato sul palco con Mick Jagger durante i concerti. Ascoltatela con attenzione tra il minuto 3:02 e il minuto 3:12, quando la sua voce sale in modo incredibile per poi spezzarsi dall’emozione. Una performance da brividi, un urlo di stupore e indignazione che bisognerebbe anche oggi fare nostro, per poi replicarlo di fronte a qualsiasi forma di prepotenza.
Riferimenti e note aggiuntive:
- Così Kant: «Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale dentro di me.» (Epitaffio di I. Kant, estratto dalla Critica della ragion pratica, Conclusione)
- Così Pascal: «L’uomo è solo una canna, la più fragile della natura; ma una canna che pensa. Non occorre che l’universo intero si armi per annientarlo; un vapore, una goccia d’acqua bastano a ucciderlo. Ma, quand’anche l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe pur sempre più nobile di quel che lo uccide, perché sa di morire, e la superiorità che l’universo ha su di lui; mentre l’universo non ne sa nulla. Tutta la nostra dignità sta, dunque, nel pensiero. In esso dobbiamo cercare la ragione di elevarci, e non nello spazio e nella durata, che non potremmo riempire. Lavoriamo, quindi, a ben pensare: ecco il principio della morale.» (Blaise Pascal, Pensieri, 377)
- La poesia Scheletro di dinosauro è tratta dal volume La gioia di scrivere (Adelphi, pp.296-299), ed è tradotta da Pietro Marchesani.
- Szymborska aveva dedicato altre poesie ai mali provocati dall’uomo e alle ingiustizie della storia, di cui mi preme ricordare L’odio e Scorcio di secolo, pubblicate in questa pagina. Le sue riflessioni, anche se scritte decenni fa, restano sempre vive, attuali e quindi vale la pena di rileggerle, perché cambiano sì l’epoca e i contesti e le varie motivazioni che stanno alla base di ogni guerra, ma la capacità d’odiare dell’uomo, spesso camuffata da buone intenzioni o da mille altri pretesti, è sempre quella, sempre la stessa. Anzi, forse perfino aumentata.
- L’odio, Wisława Szymborska; Lettura di Luigi Maria Corsanico
- La pagina del blog dedicata all’opera poetica di Wisława Szymborska (in due puntate):
- La pagina del sito di Amnesty International Italia, dove si trovano elencate tutte le violazioni dei diritti umani perpetrate in Russia negli ultimi due anni: repressioni dei diritti alla libertà d’espressione, associazione e riunione pacifica, minacce e aggressioni contro giornalisti, difensori dei diritti umani e altri attivisti, e poi tantissimi arresti arbitrari di voci del dissenso con accuse false e pretestuose. Perfino i gruppi (anche esteri) che operano per i diritti umani vengono costantemente osteggiati e boicottati, idem gli artisti, musicisti e letterati che non sono allineati sulle posizioni governative. Questo solo per darvi un’idea della “libertà” che si respira nel Paese dello zar Putin.
- Mille voci discordanti, alcune anche sovrapponibili, si sono alzate per dire la loro sull’attuale conflitto, così adesso abbiamo un trambusto di anti militaristi, anti Nato, russofili, pro-ucraini, dubbiosi e pacifisti anche più moderati, e poi abbiamo naturalmente i “né né”, né con Putin, né con la Nato, tutti che urlano a gran voce le loro ragioni, spesso soverchiandosi tra loro, mentre gli ucraini continuano a morire ogni giorno sotto le bombe. Ormai le guerre, come scrive in questo articolo Daniela Amenta (che vi consiglio di leggere, perché fa bene il punto sulla questione delle differenti opinioni che si agitano dalle nostre parti), sono “il terreno di una formidabile dissertazione colta, priva di dolori, coinvolgimenti”. E questo, sinceramente, preoccupa non poco. Anche perché “oltre la disputa a suon di chiacchiere, tra i “se” e i “ma”, nella scalata lungo lo scivoloso castello ideologico, svanisce la pietas nei confronti delle vittime e la capacità di uno sguardo largo sulle conseguenze di questa ennesima guerra”.
Cara Alessandra, niente da togliere o aggiungere, condivisione al dettaglio. A cominciare dallo splendido inizio del dinosauro. Già mi è bastato per trovarci reso in modo genialmente creativo ed efficace tutto quello che si può dire del genere umano o di un certo genere umano. Non bastasse il Covid a evidenziare, certi aspetti ora si ripropongono anzi sempre più cocenti col passare dei giorni a partire da questo tragico 24 febbraio.
Più d’uno ha scritto che niente sarà più come prima (geopolitica e geoeconomia e non soltanto) sempre che – aggiungo e bene tu sottolinei – ci sia un dopo.
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Speriamo nei negoziati, ma finora nessuna svolta… No, purtroppo nulla sarà più come prima.
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Non so se ci sarà un dopo ma, se ci sarà, NON dovrà essere come prima.
Sai cosa – sono allucinata. Per la prima volta, leggendo la frase di Pascal, isolata, alla locuzione “canna pensante” ho visto l’orrore di una “canna” di fucile, mitragliatore, cannone, lanciamissili cui vorremmo assegnare il compito di essere “intelligente”,e che dovrebbe contenere il compito di realizzare una morale. Stiamo impazzendo, credo. Siamo impazziti.
Possiamo solo appigliarci alla speranza di un dopo che, davvero, dovrà NON essere come prima. Teniamo stretta una speranza, e un impegno.
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Sono d’accordo; io mi riferivo alle città distrutte, alle case bombardate, a quella povera gente in fuga che si ritrova dall’oggi al domani senza più nulla. In questo senso mi dispiace. Per tutto il resto, spero anch’io che non sarà come prima.
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E la mia ” speranza” è senza fondamento, temo.
Hai scritto un pezzo bellissimo.
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un lungo post ma ricco di dettagli e approfondimenti.
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Un articolo intenso, con un incipit di un’ironia che taglia nel profondo. Lo Scheletro di dinosauro è un monito a molte valenze che rimane impresso.
Riprendo due punti: il primo riguarda i molti commentatori, anche bravi, per i quali la guerra attuale è un problema è geopolitico, un conflitto di potenze, l’Ucraina reale e concreta qualcosa di un po’ pallido capitato lì per caso o per sua sfortuna, e lasciamo solidarietà e compassione fuori dalla porta perché fanno kitsch. Il secondo è più vasto e fondamentale: l’umano istinto (o abitudine?) alla sopraffazione che si manifesta in modo affatto slegato dall’istinto di sopravvivenza, come ben mostra L’odio di Szymborska, di una precisione micidiale. Un vizio correggibile? Non so, anche perché quando, come nella guerra, l’individuale si mischia col collettivo la cosa diventa ancor più complicata. E quando l’autocrate decide e la nazione, per quanto veda e tocchi con mano la repressione interna sempre più dura, nondimeno lo segue…
E l’autocrazia che si propone come opportuna correzione di democrazie (le nostre) in declino e viene festeggiata proprio da quelli che, qui da noi, più profittano della libertà di espressione… Non so, mi prende lo sgomento…
Io di musica, specialmente rock, non so niente, ma a me fin dall’inizio di questa guerra ronzava in testa un’altra canzone, Eve of Destruction (“The eastern world is explodin’…), la conosci?
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No, non la conoscevo, anche se ascoltandola non mi risulta proprio nuova, nel senso che devo averla già sentita in tempi remoti… Meglio dire, allora, che non me la ricordavo. Leggo che è stata scritta da P.F. Sloan nel 1965, poi cantata, nella sua versione più conosciuta, da Barry McGuire. Beh, anche questa assolutamente in tema con l’argomento trattato, visto che esprime i timori di un conflitto nucleare e di una catastrofe imminente. La frase che hai riportato, in effetti, non può fare a meno di ronzare in testa. Non saprei cos’altro aggiungere, se non che “this whole crazy world is just too frustrating”.
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X Elena Gramman.
Scrivi :”E l’autocrazia che si propone come opportuna correzione di democrazie (le nostre) in declino e viene festeggiata proprio da quelli che, qui da noi, più profittano della libertà di espressione…” !
Sì, è uno dei mie chiodi fissi da tempo… siamo alla follia!
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C’è un saggio di Marc Rosenlund in cui si parla anche di come l’uomo primitivo da nomade iniziò a diventare stanziale e avere possedimenti. Una citazione dice: “Si potrebbe sostenere che il possesso di terreni, bestiame e altri beni che dovevano essere difesi sia stata la nostra disgrazia. È allora che iniziano infatti ad apparire le prime tracce di guerre.”
Penso che l’essere umano dovrà passare attraverso un’evoluzione mentale per eliminare le guerre dalla sua storia. E temo che siamo ancora lontani da ciò.
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Sì, mi ricordo che avevi parlato di quel saggio; sono andata proprio ora a rileggerlo e riporto qui di seguito il titolo per chi fosse interessato: “I 10 disastri climatici che hanno cambiato il mondo” (Garzanti). C’è un’altra riflessione di Marcus Rosenlund che mi inquieta non poco, quando dice che l’uomo, al fine della sopravvivenza, tende ad adattarsi anche alle situazioni peggiori, riferendosi in particolare ai cambiamenti climatici… Una capacità d’adattamento che è una benedizione ma allo stesso tempo una condanna, perché “Ci aiuta a sopravvivere, ma ci induce anche, dopo qualche tempo, a ritenere normale quasi ogni pazzia.” Ecco, speriamo, ma auguriamocelo davvero, di non essere costretti, nei tempi prossimi e futuri, ad adattarci sempre più a degli stati ripetuti o permanenti di guerra. Nonostante tutto, confido ancora nella capacità umana di operare per la pace attraverso scambi, relazioni e obiettivi condivisi.
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“Se la canna pensante, ossia l’uomo, avesse da sempre coltivato e onorato la legge morale dentro di sé, l’intelligenza di ognuno sarebbe oggi al servizio esclusivo del benessere collettivo e il mondo apparirebbe come un vero paradiso in terra.”
Dici bene, ma l’uomo, a differenza degli animali, è dotato del libero arbitrio e questo lo porta a una scelta, che non sempre è etica. Il sonno della coscienza genera infatti mostri: niente di nuovo sul fronte universale. Sono disgustata da questa ripetizione macabra e assassina che è la storia, che, purtroppo, non insegna niente.
Tutte le dittature sono da condannare. Hai fatto bene a non dimenticare Anna Politkovskaja, che io, e non mi vergogno a dirlo, ho conosciuto per la prima volta attraverso una grafic novel di Igort.
E’ orribile Putin, è orribile il battaglione Azov. L’odio semina odio. I nazionalismi si accendono – è già successo – ed esplodono. Chi non ha colpe scagli la prima pietra.
L’Europa di fatto, e gli Stati Uniti per primi (ancora una volta protagonisti principali) sono in guerra con la Russia: solo per difendere la libertà degli Ucraini? Non c’è mai altruismo in una guerra.
Qual è il compito che ci spetta? Essere operatori di pace, sostenendo il popolo invaso e in fuga con cibo, medicine ed aiuti aiuti umanitari.
Però io ho un’altra lezione della storia in testa, che non dimentico.
Se Zelensky e il suo fiero popolo fossero rimasti inermi dinanzi ai carrarmati russi, filmando l’eventuale massacro degli invasori davanti a chi cerca la strada della non violenza e del dialogo, del negoziato, della non cooperazione, della disobbedienza civile, dello sciopero della fame, e mandandolo in rete, credo che tutto il mondo avrebbe pensato che qualcosa di inaudito stava accadendo. I Russi per primi.
Quante distruzioni. massacri, esodi sarebbero stati risparmiati?
Certo Zelensky non è Gandhi. Ma non credere che gli Inglesi siano meno feroci dei Russi. Ad Amritsar, nel 1919, hanno sparato sulla folla disarmata, lasciando per terra più di trecento morti, se non ricordo male il numero.
Alla fine hanno ceduto nel 1947. Per stanchezza, probabilmente, e poi perché, sotto i riflettori del mondo, non volevano fare la figura dei tiranni (come erano sempre stati nel loro impero coloniale).
Molti si sono illusi che gli orrori seconda guerra mondiale avrebbero generato una solida volontà di pace. Non scordo, però, che il modo in cui si è conclusa non poteva creare troppe illusioni. La bomba atomica sganciata contro i civili, quando il Giappone era prossimo alla resa, anche perché pure l’URSS gli aveva dichiarato guerra, è stata la dimostrazione che gli Americani volevano dare al mondo, prima di tutto ai Sovietici, di possedere un’arma di distruzione terrificante.
Non so quanto durerà questa ennesima guerra, certo è che se si continuano ad inviare armi e armi e armi, ci saranno sempre più morti. Per non pensare al peggio che potrebbe succedere se non si torna ad aprire con vigore e convinzione la via dei negoziati.
Altrimenti non potremo che dare ragione alla poesia Uomo del mio tempo di Quasimodo :
Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
Quando il fratello disse all’altro fratello:
«Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
Salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.
In questa nuova tragedia che l’Europa sta vivendo ho riletto di pensieri del Mahatma:
A meno che le grandi nazioni non si liberino della loro voglia di sfruttamento e dello spirito della violenza, di cui la guerra è l’espressione naturale e la bomba atomica l’inevitabile conseguenza, il mondo non ha speranza di pace. Il popolo dell’Europa si condanna a morte se non cessa di essere violento. Attraverso il conseguimento della libertà dell’India, spero di realizzare e continuare la missione di fratellanza dell’uomo.
Purtroppo Gandhi, uomo giusto che ha realizzato pacificamente obiettivi giusti, è stato vittima dell’odio violento. Ma non è questo che mi scoraggia. Mi scoraggia la consapevolezza che la storia non ha visto affacciarsi sul suo palcoscenico uomini come lui. Ce ne vorrebbero tanti. Dappertutto.
Aspettando un nuovo Gandhi…. Se la pace non potrà essere ottenuta attraverso la via che auspico, ovvero la diplomazia e i negoziati, mi auguro una scena finale fantastica: un abbraccio di soldati russi e ucraini, stremati dall’odio e divorati dalla voglia di pace. E’ già successo, ma per poco, tra i soldati francesi e quelli tedeschi. Oppure altro finale fantastico, anche questo già accaduto, è che i Russi, estenuati da una guerra che rischia di cronicizzarsi, tornino a casa, ai loro affetti, abbandonando il fronte. Era il 1917, sul fronte orientale.
Buona Pasqua, cara, che sia una Pasqua di pace per tutti.
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Bella l’immagine con la quale chiudi questa sentita riflessione; magari accadesse anche in questa circostanza, sarebbe un miracolo. E Dio solo sa quanto vorremmo ancora crederci, ai miracoli, ora più che mai. Anche se l’orrore di ogni giorno toglie fiato alla speranza. Il Mahatma, come rivela il soprannome, era una “Grande Anima”, ma lo era per davvero, fino in fondo…. una perla rara. Tu lo sai bene, non per niente gli hai dedicato un appassionato articolo. Noi, al suo cospetto, siamo come dei moscerini, ancora ben lontani da un risveglio profondo della coscienza. Ho letto, tra le altre cose, che Gandhi sosteneva che il potere esercitato giustamente deve essere leggero come un fiore; nessuno deve sentirne il peso. Pensa alla meraviglia di senso racchiusa in questa frase, e a come sarebbe oggi il mondo se tutti l’avessero compresa e messa in pratica. Dopo due guerre mondiali e svariati conflitti non meno penosi e logoranti, siamo ancora qui a combattere e ad uccidere per la conquista del potere. O per gli abusi dello stesso. Certo, poi le colpe, a ben guardare, si situano sempre da una parte e dall’altra, chi più e chi meno, e comprendono ovviamente gli interessi e le varie convenienze, mentre nel mezzo, come al solito, una fiumana di innocenti da sacrificare sull’altare…
Grazie per il passaggio, Silvia. Cerchiamo di passare una buona Pasqua, seppure il clima non sia per nulla propizio ad uno stato di serenità mentale. E speriamo che una voglia inarrestabile di pace riesca sul serio a divorare il cuore di tutti, nessuno escluso.
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La spero proprio! Grazie, Alessandra
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Ho letto proprio stamattina una riflessione di Pasolini (mi sto riavvicinando a lui in questo centenario della nascita) e voglio condividerla con te: “Di quanti delitti sono stato complice, per un odio che per servilismo verso i padroni ho realmente provato, senza rendermi conto che i padroni mi tenevano oggetto della stessa specie di odio, davanti a coloro che invece mi sono fratelli”. Buona domenica, che il Potere sia leggero come un fiore.
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Pink Floyd, 30/03/2022 – ‘Hey Hey Rise Up’, released in support of the people of Ukraine, sees David Gilmour and Nick Mason joined by long time Pink Floyd bass player Guy Pratt and Nitin Sawhney on keyboards, all accompanying an extraordinary vocal by Andriy Khlyvnyuk of Ukrainian band Boombox. All proceeds go to Ukrainian Humanitarian Relief.
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