Del mordersi la lingua

Provo a pubblicare un post, anche se credo che word press o il world wide web o chi per loro mi abbiano proscritta per sempre dai loro confini, visto che molti dei miei articoli non appaiono più nei motori di ricerca (Google in primis) e ancor di meno nel reader della nostra piattaforma, per cui è probabile che anche ciò che sto scrivendo in questo momento finirà risucchiato da qualche oscuro buco nero, o al limite viaggerà come una mina vagante nelle lande sterminate del web, dove solo a qualche malcapitato capiterà, di tanto in tanto, di sbatterci addosso. Questo è infatti lo scotto da pagare per chi non pubblica da molto tempo, ossia la perdita di visibilità. E se poi quel qualcuno – come la sottoscritta – ha perfino “osato” oscurare per mesi le pagine del blog, allora la punizione sarà doppia, con tanto di fustigazione sul palmo delle mani o sulla pianta dei piedi. Va be’, non crucciamoci più d tanto, sarà quel che sarà. Io mi accontento anche di due o al massimo tre malcapitati, basta che sappiano tener testa a questo mio fiume in piena, che ahimè non promette nulla di buono, ma dovevo pur rifarmi dopo un periodo così prolungato di silenzio.

Cambiando discorso, scommetto che mentre pocanzi mi lamentavo qualcuno non mi stava già più ascoltando, distratto com’era da quel mordersi del titolo… L’ho rubato al signor Palomar, lo confesso, anche se non vorrei, per questo, essere condannata a ricalcare in eterno la sua ben nota esitazione. No, la lingua non me la mordo più, anche se nel passato mi è capitato di stare zitta in circostanze in cui avrei fatto bene a indignarmi, come in altri casi mi è successo, al contrario, di espormi troppo quando avrei fatto meglio a tacere. È l’eterno dilemma che incombe sull’uso/abuso della favella umana, fortunati quei pochi che se ne fregano o ne sono esenti.
Comunque, parlando del silenzio, bisogna anche dire che in un certo qual modo è pur sempre un discorso. Scelgo di non parlare perché mi sento delusa, avvilita, svuotata… oppure contrariata, infastidita. E i silenzi già parlano per me. Devo però ammettere di averne collezionati parecchi negli ultimi tempi, ne ho fatto proprio incetta, una bella scorta per il prossimo biennio. Saranno appunto stati i contrattempi della vita che mi hanno presa di soppiatto alla gola, lasciandomi poco tempo per fiatare (ma chi di noi ne è dispensato?), sarà stato questo clima minaccioso da covid che fomenta ansie un giorno sì e l’altro ancora, o magari è solo colpa di quella caffetteria rimasta troppo a lungo sul fuoco una mattina di qualche estate fa… e può darsi che una parte di me sia ancora lì a valutare il disastro, come ad esempio la direzione degli schizzi e l’area di origine delle macchie, quando invece farebbe meglio a lasciar perdere e guardare avanti.

Boh, davvero non lo so, non ci capisco più nulla in mezzo a tutto questo marasma, e a dire il vero non so nemmeno il motivo per cui sto scrivendo queste due righe, che già minacciano di trasformarsi in un papiro lungo due metri… Per leggere devo dire di aver letto a sufficienza, in questi ultimi dodici mesi, anche se con la massima lentezza; Il conte di Montecristo, ad esempio, nelle cui pagine ho fatto ormai il nido e chissà quando spiccherò il volo (tanto mi dispiace l’idea di abbandonarlo), e poi Paradiso e inferno e Storia di Asta di Jón Kalman Stefánsson, giusto per tenermi allegra e su con il morale (dolorosissimi entrambi, ma stillano gocce di poesia e di speranza da ogni riga), e poi ancora l’incontro con Martin Eden, che mi è rimasto impresso in modo indelebile nell’anima. Perché è così che succede quando si attraversa una fase delicata della propria vita, cioè è facile proiettarsi nella psicologia tormentata del personaggio letterario di turno, basta un attimo e anche tu sei dentro la pagina che soffri e ti dibatti insieme a lui, ne condividi le emozioni anche quando vorresti tirartene fuori, parteggi per certe scelte anche quando senti che dovresti biasimarle… Quando non si sta tanto bene, infatti, bisognerebbe limitarsi alle barzellette (che io in realtà detesto), o al limite leggere Jerome K Jerome, Guareschi, Paasilinna e meraviglie simili, oppure tuffarsi nei racconti di Cechov, che sebbene mettano in scena i piccoli drammi dell’animo umano riescono, nello stesso tempo, a stemperarli in un velo di sottile umorismo.

Al momento sono anche presa da alcuni classici inglesi, tra cui Thomas Hardy e John Cowper Powys (tanto affascinante il primo, con quella continua fusione di paesaggi e sentimenti umani, quanto stranissimo e calamitante il secondo, al punto d’aver preso stanza fissa nei miei pensieri), ma per ciò che concerne la scrittura… la mia povera, trascurata scrittura… niente, nisba, zero assoluto, non mi salta fuori dal cappello neppure un baffo del ben noto coniglio. Se non appunto il papiro che sto stendendo in questo momento. Forse è troppa la tristezza, mi dico. Non solo quella che mi porto dentro, ma anche quella che raccolgo in giro. In questo mondo che assume sempre più i connotati di uno sconfinato purgatorio in terra, purtroppo… Eppure, prima o poi «la pioggia si fermerà, la notte finirà, il dolore svanirà, e la speranza non è mai così persa da non poter essere trovata», pare abbia scritto un giorno Hemingway, evidentemente in un momento in cui era di buon umore. E magari aveva anche alzato un po’ il gomito. Ma può essere (sto cercando di convincermi), può anche essere che qualcosa si stia risvegliando dentro di me, così come dentro ognuno di voi e nel cuore del mondo stesso, come un rigurgito di primavera che giunge in ritardo, come una mezza idea di rimettersi in gioco… Non so, staremo a vedere. Senza cedere a facili entusiasmi, rinunciando a proclami e colpi di scena e camminando in punta di piedi.

Ma adesso, per saltare un’altra volta di palo in frasca, parliamo di word press. So, what the hell happened anyway? Non solo sono sparita per mesi dal mondo dei vivi, diventando a tutti gli effetti quell’essenza impalpabile ed evanescente che mi ero proposta di essere, ma ora mi trovo ad avere a che fare anche con un blog che non sembra più il mio, da tanto è irriconoscibile! Qui è passato uno tsunami che ha ribaltato ogni cosa, le stoviglie sono volate fuori dalla finestra e il divano sta ancora adesso oscillando, con fare minaccioso, sul tetto dell’armadio. Dove sono finite le quiete e confortevoli stanzette di noi affezionati habitué!!? Ora bisogna lavorare con un sistema “tutto a blocchi”, mi pare di aver capito, cioè si procede un mattone dopo l’altro, o meglio si è costretti ad avanzare su una specie di campo minato dove qua e là spuntano avvisi che esortano a scegliere un blocco, aggiungere un blocco, muovere giù o spostare sopra un blocco…. Insomma, pare non esista alternativa al blocco se non quella di stare fermi o di esplodere sopra una mina.
Mah!? C’era davvero la necessità di cotante e siffatte innovazioni? A mio parere il vecchio editor svolgeva più che bene il suo sporco lavoro, oltretutto si era radicato così a fondo nelle nostre mappe cerebrali che le finestre si aprivano quasi da sole davanti agli occhi, mentre i pulsanti si attivavano un attimo prima che i polpastrelli sfiorassero la tastiera, come se tutto avvenisse sulla base di una magica alchimia. E forse, ripeto forse, anche per i neofiti l’approccio era più facile, quantomeno per l’aspetto intuitivo.

Ok, meglio non aggiungere altro, altrimenti poi mi accusano di essere conservatrice e mentalmente poco elastica, che poi è lo stesso modo di dire la stessa cosa nel medesimo istante… Il mio scontento è però giustificato dal fatto che quando mi trovo bene in una certa condizione, di qualsiasi cosa o persona si tratti, io spesso mi affeziono, mi ci attacco come l’edera sul tronco, e quando poi interviene una raffica di vento che va a destabilizzare il tutto, che rompe (nel vero senso del termine) l’equilibrio prima agognato e poi conquistato col sudore della fronte, ecco, ci resto troppo male…. E così necessito di tempi biblici per riprendermi. Per tirarmi di nuovo su, una zampetta dopo l’altra. Con o senza le grucce non importa, quello che conta è risollevarsi, magari evitando di incappare negli stessi abbagli del passato.
Eh, mi direte, sono le prove della vita, veniamo apposta su questo pianeta per farci scassare le palle o per scassarle noi stessi agli altri… Altrimenti, sai che noia sarebbe se tutto filasse sempre liscio, senza un battito di cuore in gola, forte o debole che sia, senza un fremito del labbro o un sopracciglio increspato, senza un rosicchiare di fegato; in fondo siamo qui apposta per imparare qualcosa, giusto?, anche se non sappiamo esattamente cosa; ma pare tutto ruoti (così si mormora in giro) attorno al presupposto di un mondo come palestra e opportunità di crescita, fosse anche solo utile per allenare la pazienza… Quindi stai zitta, cara la mia ragazza, e cuccati anche tu il percorso a ostacoli del nuovo editor, che sebbene vada a sommarsi alla quantità di altre rogne che t’asfissiano da tempo il quotidiano non ti impedirà, per questo, di pubblicare ‘ste due righe (ormai divenute a tutti gli effetti un fiume gonfio e ribollente, a rischio esondazione) e di cazzeggiare come un tempo da una latitudine all’altra del qui presente/assente blog…

Comunque, a parte le sciocchezze, dopo aver trafficato per alcune ore con la novità del momento mi sono già assuefatta, e non per niente questo che state ora leggendo è un post-blocco neonato, prossimo genitore di altri blocchi nonché futuro trisavolo di altri blocchi ancora, dacché bisogna stare necessariamente al passo con i tempi, altrimenti si rischia di rimanere ancorati al paleolitico. O di fare la muffa, che è anche peggio.
Ok, ok, va bene, ma tutta questa chiacchierata per dire… cosa? Boh, non lo so neppure io, a dire il vero. Ormai oscillo da mesi tra il desiderio di esprimermi e l’impossibilità di farlo, come se una forza superiore di non ben specificata natura mi impedisse di procedere oltre. Sto appunto qui, a mordermi la lingua sulla falsariga di Palomar, o per meglio dire me ne resto con i gomiti appoggiati alla finestra a guardare l’acqua che scorre fuori, al di là dello steccato e tra gli alberi, in attesa di risorse e tempi migliori… sempre che questi arrivino.

Ser como el río que fluye
silencioso en medio de la noche.
No temer las tinieblas de la noche.
Si hay estrellas en el cielo, reflejarlas.
Y, si los cielos se cubren de nubes,
como el río, las nubes son agua;
reflejarlas también sin pena
en las profundidades tranquilas

Essere come il fiume che scorre
silenzioso nel cuore della notte.
Senza temere le tenebre della notte.
Se nel cielo ci sono le stelle, rifletterle.
E se i cieli si coprono di nuvole,
come il fiume, le nuvole sono acqua;
rifletterle anch'esse senza pena
nelle profondità tranquille.

I versi sopra riportati sono di un poeta brasiliano, ai più forse sconosciuto… tale Manoel Bandeira (1886-1968), che anch’io finora non avevo avuto il piacere d’incontrare. Li ho trovati per caso nel web e li spargo così, lungo la pagina, come fossero petali di rosa o piume al vento, perché credo esprimano bene l’approccio che bisognerebbe avere (o almeno sforzarsi di avere) di fronte alle intemperie della vita. Che è quello di accettare ogni cosa che accade facendola allo stesso tempo scivolare via, senza tormentarsi più di tanto e senza smanie di attaccamento. Lo so, è un concetto che più che brasiliano sembra scaturito dalla testa di un monaco zen, senza dubbio difficile da mettere in pratica per noi occidentali, ma questo non significa che non possiamo provarci.

Oh, come s’è fatto tardi, ora devo proprio sgattaiolare via, se no il caffè trabocca sul serio o, peggio ancora, si raffredda nella tazza. Sì, me ne vado, ma non prima di avervi salutato a suon di sorrisi, baci, abbracci e ammiccamenti vari annessi (sempre che qualcuno passi ancora da queste parti, con la ventura di scorgere almeno la punta di questo blog-vascello fantasma alla deriva), e nemmeno prima di avervi lasciato in compagnia di Italo Calvino, che già ai suoi tempi – appunto, per restare in tema – era riuscito a rappresentare in modo efficace l’impasse comunicativa, nonché la difficoltà di affrontarla e superarla. Il signor Palomar, se qualcuno se lo ricorda, è un personaggio taciturno e solitario, chiuso in un suo mondo immaginifico fatto di pensieri e riflessioni filosofiche, intento ad osservare ogni cosa nel dettaglio per poi dilatarla fino ai limiti estremi, e dunque destinato, proprio per questo, al fallimento nelle interazioni con l’esterno. Fallimento che tuttavia non funge mai da deterrente, visto che Palomar è sempre pronto a rinnovare con candido entusiasmo la sua verve speculativa, basta solo che si presenti l’occasione buona. Questo il quadro in estrema sintesi, per una panoramica più ampia rimando all’articolo dedicato.

Il racconto che segue – che a me suscita perfino tenerezza, sebbene implichi considerazioni che non sono da poco – risale al 1983, epoca ben diversa e lontana dalla nostra, ma io ne approfitto per restituirlo ai nostri tempi e farlo anche un po’ mio, visto che appunto mi riconosco, se non del tutto, almeno in parte, nella situazione vissuta dal protagonista. Poi fatemi casomai sapere se non sia possibile, secondo voi, gettare ancora oggi un’occhiata indulgente alle titubanze di Palomar, e quindi in definitiva anche alle nostre, visto che più ci ostiniamo a combatterle con foga, più esse rischiano di prendere il sopravvento.

A risentirci presto, spero.

Del mordersi la lingua

In un’epoca e in un paese in cui tutti si fanno in quattro per proclamare opinioni o giudizi, il signor Palomar ha preso l’abitudine di mordersi la lingua tre volte prima di fare qualsiasi affermazione. Se al terzo morso di lingua è ancora convinto della cosa che stava per dire, la dice; se no sta zitto. Di fatto, passa settimane e mesi interi in silenzio.
Buone occasioni per tacere non mancano mai, ma si dà pure il raro caso che il signor Palomar rimpianga di non aver detto qualcosa che avrebbe potuto dire al momento opportuno. S’accorge che i fatti hanno confermato quel che lui pensava, e che se allora avesse espresso il suo pensiero forse avrebbe avuto una qualche influenza positiva, sia pur minima, su quel che è avvenuto. In questi casi il suo animo è diviso tra il compiacimento d’aver pensato giusto e un senso di colpa per la sua eccessiva riservatezza. Sentimenti entrambi così forti, che egli è tentato d’esprimerli a parole; ma dopo essersi morsicato la lingua tre volte, anzi sei, si convince che non ha nessun motivo né d’orgoglio né di rimorso.
L’aver pensato rettamente non è un merito: statisticamente è quasi inevitabile che tra le molte idee sballate, confuse o banali che gli si presentano alla mente, qualcuna ve ne sia di perspicua o addirittura geniale; e come è venuta a lui, può esser certo che sarà venuta pure a qualcun altro.
Più controverso è il giudizio sul non aver manifestato il suo pensiero. In tempi di generale silenzio, il conformarsi al tacere dei più è certo colpevole. In tempi in cui tutti dicono troppo, l’importante non è tanto il dire la cosa giusta, che comunque si perderebbe nell’inondazione di parole, quanto il dirla partendo da premesse e implicando conseguenze che diano alla cosa detta il massimo valore. Ma allora, se il valore d’una singola affermazione sta nella continuità e coerenza del discorso in cui trova posto, la scelta possibile è solo quella tra il parlare in continuazione e il non parlare mai. Nel primo caso il signor Palomar rivelerebbe che il suo pensiero non procede in linea retta ma a zigzag, attraverso oscillazioni, smentite, correzioni, in mezzo alle quali la giustezza di quella sua affermazione si perderebbe. Quanto alla seconda alternativa, essa implica un’arte del tacere più difficile ancora dell’arte del dire.
Infatti, anche il silenzio può essere considerato un discorso, in quanto rifiuto dell’uso che altri fanno della parola; ma il senso di questo silenzio-discorso sta nelle sue interruzioni, cioè in ciò che di tanto in tanto si dice e che dà un senso a ciò che si tace.
O meglio: un silenzio può servire a escludere certe parole oppure a tenerle in serbo perché possano essere usate in un’occasione migliore. Così come una parola detta adesso può risparmiarne cento domani oppure obbligare a dirne altre mille. «Ogni volta che mi mordo la lingua, – conclude mentalmente il signor Palomar, – devo pensare non solo a quel che sto per dire o non dire, ma a tutto ciò che se io dico o non dico sarà detto o non detto da me o dagli altri». Formulato questo pensiero, si morde la lingua e resta in silenzio.

Italo Calvino, tratto da “I silenzi di Palomar”, pp.92-93, ed. Oscar Mondadori, 2002

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52 pensieri su “Del mordersi la lingua

  1. Quanto mi ritrovo in questo articolo! Sono sempre stata altalenante con WordPress. È più un posto dove metto dei pensieri ogni tanto. Spesso manco per qualche mese, poi torno qualche giorno e via ancora qualche mese. Però il ritorno dall’ultima tregua è stato traumatico. Il blocco già… blocco perfino per inserire uno “spazio vuoto” tra un paragrafo e l’altro! E tonta io che ci ho messo una settimana a capire come funzionasse, dopo qualche imprecazione perché mi appiccicava tutto il testo.
    Penso che per chi inizia ora e non ha in mente il “vecchio” modello sia tutto più semplice e intuitivo, ma io ci ho messo un po’ a ingranare. Unico aspetto positivo, ho preso il rinnovamento di WordPress come l’occasione per cambiare il tema e l’estetica del mio sito. Era da una vita che volevo metterci mano!

    P.S. il tuo articolo mi è arrivato via mail e compare nel reader. Non sei stata ancora del tutto esiliata 😉

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    1. Oh, per fortuna, il mio timore era infatti quello di rimanere relegata nell’ombra, a raccontarmela da sola, che non sarebbe poi il massimo, insomma… Già passo le giornate a parlare tra me e me, a tartassarmi con autoanalisi fastidiose e ripetitive, al punto che quasi non mi sopporto più 😉

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  2. Henry DeTamble

    Su Calvino e la sua forza non rispondo nulla, tanto non c’è bisogno…:) Per quanto riguarda WordPress, invece, sono molto critico sulle sue novità. Ma siccome sono troppo pigro per poter migrare in altri lidi, allora diciamo che va bene così.

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  3. Prima di tutto bentornata Alessandra: si sentiva la tua mancanza, la mancanza della tua scrittura, dei tuoi consigli di lettura e della tua personalità. Sì, credo che il tuo silenzio si sia fatto sentire qui. Il motore di ricerca ti ritroverà, ci vorrà del tempo. Ci vuole sempre del tempo. Per adattarsi a nuovi editor ,per fare i conti con questo mondo che sembra sempre più una nave alla deriva guidata da un capitano pazzo… Ci vuole tempo per lenire le ferite, per accettare le cicatrici e per trovare un modo di andare avanti.
    Comunque noi lettori (sì, mi prendo la briga di parlare a nome di altri blogger che so passeranno presto di qui) ci siamo. Interpellaci, intrattienici e scrivici se come e quando vuoi.
    C’è bisogno delle tue parole per creare una possibile primavera di bellezza in tempi impossibili.
    Perdonami per questo commento-fiume sconclusionato.
    Un abbraccio, Benny.

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    1. Nulla di sconclusionato, Benny, anzi ho gradito molto il tono affettuoso delle tue parole 🙂 Per quanto riguarda Google, ho visto che per adesso compaio solo con la pagina della Home, mentre i link che mesi fa conducevano ad altri articoli sembrano scomparsi, o almeno io non li trovo… Sì, probabilmente ci vorrà del tempo per recuperare; poi, spronata dal commento di Guido, ho fatto qualche piccola indagine e ho scoperto che per migliorare la SEO del blog dovrei per forza caricare un plugin, e quindi passare al piano a pagamento… Ma pazienza, va bene così; del resto non mi interessa una visibilità più estesa. Quello che conta è il vostro riscontro, che oggi come ieri ho la fortuna (immeritata) di raccogliere.

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      1. Guarda credo che scrivere nuovi articoli, ottenere qualche link da blogger che potrebbero citare i tuoi ottimi articoli, pensare al guest posting (se e quando te la sentirai) e linkare a tua volta siti di qualità potrebbero essere delle alternative fattibili al piano a pagamento. 🙂

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  4. Oh, lieta sorpresa. Evviva! Ritorno di fiamma, c’hai dato dentro. Beh, capisco benissimo, eccome!, che uno a un certo punto non si senta più uscire una parola degna di stare nero su bianco. Addirittura da non capire nemmeno più perchè non dovere sentire neanche uno stimolo. Poi, come giustamente dici, c’è aria greve anche fuori. Fin che sto rintanato va tutto bene, ma come esco e vedo fantasmi mascherati mi viene una via di mezzo tra la malinconia e la disperazione. Non vedo l’ora di rintanarmi ancora a casa.
    Insomma, hai detto un po’ tutto tu. Non sto che ripetendoti.
    Ho tenuto per ultima, ma non vedevo l’ora di sfogarmi, la idiota faccenda dei blocchi.
    Cos’è questa mania di cambiare che pare non abbia solo wp?
    Oddio, molti dei cambiamenti in giro ci vuole poco a capire che dietro oscuri termini anglosassoni si nascondono i soliti sporchi interessi. Dopo ogni rivoluzione è sbucato puntuale il Napoleone di turno. Nel caso di wp, una cosa è certa: hanno mano mano negli anni ristrette le possibilità offerte, scadendo nel contempo in affidabilità tecnica, salvo combinare piani su piani per spillare soldi. Tassametri e tariffari. In fin dei conti, i blogger lavorano bene o male ma gratis, funzionano da redattori su cui la multinazionale wp guadagna già con la pubblicità senza pagare le tasse al Paese fonte di guadagno.
    Per concludere, io i blog che ho li lascio, già ho scoperto che le immagini dei vecchi post stanno sparendo e amen. Accada quel che accada, ci sono cose migliori da fare che dannarsi con i blocchi wp a maneggiarli. Il mio parere su wp e i blocchi l’ho dato su quello che considero il mio post di congedo poco tempo fa.
    Per il resto, seguo i vecchi amici, i pochi sopravvissuti che ancora resistono.
    Come vedi, sono qui, sono corso appena ho registrato il tuo bip, e posso dirti che il tuo blog è senz’altro tra i numero uno da meritare d’essere raccolto in una pubblicazione, tipo tesi di laurea. Già te lo dissi allora ai tempi.
    Un abbraccio!!!!!!

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    1. Ah no, blocchi o non blocchi tu non puoi congedarti, non te lo permetto! Mi aspetto di leggere presto un tuo post in formato cubico, quindi mettiti al lavoro, poltrone, e studia!! 😉 E se hai bisogno di aiuto, fai pure un fischio (lo sai che ti voglio bene!!)

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      1. Sei cara, e anzi, mi hai dato lo spunto per fare un ripasso di anni fertili e felici. Di scambi e allegria. E mi sono reso conto di quanti, ormai, “dormano lassù sulla collina”.
        Sarà che c’est la vie, e un SIGH! proprio ci vuole 🙂
        Con wp mi è passata proprio la poesia, c’è un male peggiore perfino del COVID. “il marketing”. (Il solito termine anglofono tanto per cambiare)

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  5. C’è tanta vita in questo post. Bentornata cara Ale, in compagnia del Conte si sta bene, è vero, come sempre come racconti tu pochi altri! Questo Calvino non l’ho letto, ma ultimamente sono stata molto in compagnia della Ginzburg, direttamente leggendola o tramite il racconto di Sandra Petrignani, e quindi anche con Calvino (e Pavese, Morante, insomma, una goduria) e mi sono ripromessa di rileggerlo tutto, pian pianino. Un abbraccio e spero a presto!

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      1. Sai che non so se ci riesco? Mi ha emotivamente affondata, ho ascoltato in audiolibro Lessico famigliare (letto dieci anni fa), le piccole virtù e letto infine La corsara, mi è sembrato di conoscerla ed averla spesso al mio fianco.

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      2. Ti capisco benissimo, capita anche a me di non trovare le parole adeguate, o almeno non subito, per qualcosa che mi ha particolarmente coinvolta. C’è sempre un piccolo Palomar nascosto dentro di noi, che poi salta fuori quando meno te lo aspetti 😉

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  6. Bellissimo risentirti! E molto nteressante il tuo post. Tante cose. Ognuna sufficiente a parlarne per …..
    Credevo di essere la sola cretina incapace incasinata con i blocchi. Il mio blog è un disastro, immagini vanno e vengono, si dimezzano, si distruggono…
    Teniamo duro se possiamo.
    E Palomar!
    Dovrò prendere “a blocchi” il tuo post e chiacchierarci sopra.
    Poi – ci fai incontrare Palomar!
    Bentornata! Mancavi davvero molto!

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  7. Oh, eccola di nuovo, finalmente! Ti avevo già vista ieri sera, per me wp ha funzionato, anche se i blocchi, va be’, lasciamo perdere, io li ignoro, chissà mai che spariscano. Ma poi ho avuto una giornata densa di pensamenti e ripensamenti e ri-ripensamenti (per stare in tema…) e non riuscivo a pensare ad altro. Mo’ basta.
    Sono anche fiduciosa che riprenderai a scrivere, la verve non manca! E viene la primavera… Il signor Palomar (che non ho letto) ha senz’altro le sue ragioni, ma non possiamo neanche ritirarci a vivere su una colonna come gli stiliti. Sappiamo tutti che nei discorsi più meditati si infilano subdolamente le cavolate, e se dovessimo seguire fino alle estreme conseguenze tutto quel che diciamo staremmo senz’altro zitti, ma allora che noia!
    Quindi basta martoriare quella povera lingua e sciogliamola invece. Che magari va anche da sé…
    Bentornata e un abbraccio!

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  8. Che bello ritrovarti!!!! Mi sei mancata tanto… Ora però stai qua eh!!!
    Bello questo sfogo, hai messo in fila tante cose e in molte ci sono dentro fino al collo….. Periodo da dimenticare sul piano personale…. Meno male che ho i libri, e i miei cani, fedeli e amorevoli, loro sì….
    Poi non mi parlare di wp che ho una serie infinita di problemi. Ho una chat continua, tra un po mi fidanzo con uno degli ingegneri della felicità.. Ho perso ore a spiegare i casini che mi combinano ma sembra di parlare al vento. La risposta è sempre : si, abbiamo un problema, ci stanno lavorando gli sviluppatori…. Boh… Hai ragione quando dici che prima era meglio…
    Veniamo a noi, però. Ti prego, continua a scrivere qui i tuoi pensieri, dacci spunti come sai e hai fatto prima dell eclissi totale 🙏🙏🙏🙏
    Baci e abbracci, tanti 🤗

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    1. Come si usa dire, mal comune mezzo gaudio 😉 Per quanto riguarda i miei interventi, invece, non me la sento di promettere nulla. Dipenderà tutto dagli stati d’animo del momento, dal livello più o meno alto di endorfine nel sangue. Questo è l’unico modo, per me, di far fluire con naturalezza le parole, senza inciampi, balbettii vari o vincoli di sorta. Ricambio gli abbracci!!

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  9. Renza

    Perbacco, Alessandra, sei tornata e l’ ho scoperto per puro caso! Bellissima notizia, per ora, con la speranza che la navicella contnui il suo viaggio… Contiamo sulle tua endorfine😊 e ti aspettiamo.
    Hai letto un romanzo che mi aveva segnata nell’ adolescenza ” Martin Eden”, tanto che non ho più osato rileggerlo per paura di non ritrovarvi quelle emozioni… Un abbraccio, cara e ben tornata.

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    1. Grazie per essere passata, Renza 🙂 Oh, di Martin Eden ne parleremo presto, sì, sì, eccome se ne parleremo! Ho già preparato delle poltroncine belle comode e accoglienti, e anche un vassoio con la torta di mele e tazze di caffè bollente per tutti gli ospiti che avranno piacere di disquisirne. Anche perché ho l’impressione che siamo in molti ad apprezzare London, da queste parti 😉

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  10. Cara Alessandra, bentornata! Non ti nascondo di essere passata da qui, di tanto in tanto, per leggere qualcosa di nuovo, però non volevo essere indiscreta e non ti ho scritto (forse mi sarò morsa anche io la lingua), rispettando i silenzi virtuali. Sono molto contenta di rileggerti, e di ritrovare qualche interessantissimo estratto. Ti abbraccio, Marianna.

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  11. Ciao, è un piacere sentire la tua voce altalenante tra speranza e disperazione… Ma sentirla è un buon segno, comunque, e la citazione del poeta brasiliano è assai incoraggiante.
    Il Conte di Montecristo, un libro che non ti viene voglia di finire mai.. Vero.
    Come sempre, mi fai conoscere qualcosa che non conosco. Una volta fu l’accecante poesia di Antonia Pozzi, adesso questo apologo di Calvino sulla necessità di dire e quella di non dire:da non perdere. Buona serata 😘

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    1. Ciao Silvia, grazie per la visita. La scorsa settimana stavo proprio rileggendo la Pozzi, e adesso tu la nomini in questo commento… interessante coincidenza. La sua è una poetica di folgorante bellezza, ricca di similitudini e metafore che tolgono quasi il respiro. Di fronte a certi versi mi capita perfino di rimanere spiazzata, come ad esempio in questo caso:

      Il vento s’accanisce a sgomberare
      una via azzurra e madida pel sole:
      le nubi fanno ala, riluttanti,
      con occhiatacce livide. Qui in basso,
      l’erba folta si torce e si rovescia
      in brividi d’argento; io sono immersa
      nell’erba sino alle ginocchia: vedo
      i brividi lanciarsi verso me; li sento
      fluire nel mio sangue, pazzi, insani;
      assottigliarsi tutti ansiosamente
      in un fremito solo che ha il tuo nome.
      (Milano, 28 maggio 1929)

      Mi piacerebbe dedicarle un altro post, in un futuro prossimo o lontano. Un post più intimo e approfondito, capace di arrivare al cuore di quella sua personalità così fragile e complessa. Ma tanti sono ancora i pensieri che mi passano per la testa senza trovare una collocazione precisa.

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      1. C’è una forte senso panico della natura nei suoi versi. Quando li leggo, penso sia l’erede dei migliori poeti romantici e decadenti. La sua aderenza totale con la Natura talvolta sembra impregnata di gioia di vivere e di fare parte di qualcosa che ha un’Anima. Buona giornata

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  12. Fairy Queen

    Ciao, piacere di essere qui 😊 Io sono una veterana di WordPress e di recente ho cancellato, in un momento di follia, il mio blog seguito da 2300 persone, e me ne son pentita. Ma ormai è fatta. Però ho scrutto al forum di supporto, per recuperarlo, ma loro ancora non mi hanno risposto. WordPress è peggiorato con questa versione a blocchi che m’incasina tutto ogni volta. A volte aggiornare non significa semplificare ma complicare , 😫

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    1. Ciao, benvenuta! Non aggiungo altro su WordPress altrimenti mi oscurano il blog 😉 Ho fatto invece un giretto dalle tue parti e ho letto con interesse uno degli ultimi post, quello che accomuna la vita alla danza; sono spunti che, se vogliamo, trovano in parte dei collegamenti con l’argomento da me trattato; tra i tanti mi è piaciuto in particolare questo passaggio: “In dance as in life, you must also learn to let yourself go, if you concentrate too much on your steps, if you only think not to make mistakes, you lose the music, you waste time. You have to abandon yourself to the sound and let yourself be guided by it, and so in life, sometimes, it is necessary to stop thinking, stop your head and let your heart free, let yourself go and let yourself live”. Eh sì, ogni tanto bisognerebbe smettere di pensare e lasciarsi solo andare, altrimenti è finita.

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      1. Fairy Queen

        Io in vita mia ho danzato tanto ed è una sensazione bellissima, lo faccio persino nei sogni, e specialmente dopo lo stress di lockdown e zone rosse ci vuol davvero qualche salto in libertà per ritrovare allegria e gioia 💃👯

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  13. x Fairy Queen (e un saluto e un abbraccio contestuale alla mia Alessandra! 🙂 )
    Sono d’accordissimo sui “blocchi” tanto che è il soggetto del mio ultimo post sul mio blog dove non ho esitato a dare il parere nudo e crudo sui “blocchi” e sul meccanismo spremi-soldi in crescendo di lor signori.
    Che poi la loro cosiddetta assistenza (support!) è praticamente inesistente (come appunto stai vedendo).
    Scrivi: ” A volte aggiornare non significa semplificare ma complicare” verissimo, e tanto vero che a forza di aggiornamenti, i quali pare siano ormai una moda comune, la vita sta diventando una giungla.
    Circa il mio blog era da undici anni che lo sviluppavo e con questo post ho chiuso: https://guidosperandio1a.wordpress.com/2021/03/31/e-luovo-di-pasqua-di-wordpress/

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    1. All’inizio è poco intuitivo, ad esempio sono diventata matta per capire come mettere il testo attorno alle immagini, ma poi, a forza di bruciare incenso e fare offerte agli dei… ci si prende la mano 🙂

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