Ah, questo brano, una delizia per la mente! Un distillato di ingegnosa e sottile ironia, da maneggiare però con le dovute cautele… Che non vi venga infatti la tentazione di farla, questa cosa, che non vi passi per la testa l’idea di provarci! State ben lontani dai lavandini, mi raccomando, e trovate un altro modo, più semplice e meno dispendioso, di passare il tempo libero e contrastare quella smania, tipicamente tutta umana, di ottenere risultati utili da qualsivoglia azione. Capisco quell’ineffabile piacere, simile all’orgasmo, nel caso di un improbabile colpo di fortuna (dopo una serie di manovre tanto azzardate!), ma se la ruota dovesse invece girare da un’altra parte, come pensereste poi di cavarvela, moralmente parlando? Non prendo neppure in esame l’aspetto economico dell’impresa, perché è scontato che, seguendo il percorso via via illustrato, ci si ritroverebbe in braghe di tela in men che non si dica. Cosa dite!!? Che volete provaci lo stesso? Che volete cedere all’ebbrezza del futile, del follemente inutile, così da pregustare il sapore di un’improbabile futura vittoria mentre un brivido di paura vi scorre lungo la schiena, mentre il sudore vi imperla la fronte nel bel mezzo di tanta sciagurata fatica? Va be’, fate come volete, poi non venite a dirmi che non vi avevo avvertito 😉
Perdita e recupero del capello
Per combattere il pragmatismo e l’orribile tendenza al conseguimento di fini utili, mio cugino il più vecchio sostiene che il metodo più acconcio sia quello di strapparsi un bel capello dal capo, fargli un nodo nel mezzo e lasciarlo cadere dolcemente nel buco del lavandino. Se questo capello resta impigliato nella retina che di norma si trova nei suddetti buchi, basterà aprire un po’ il rubinetto e lo si perderà di vista.
Senza por tempo in mezzo si inizi all’istante l’operazione di recupero del capello. La prima operazione si riduce a smontare il sifone del lavandino per vedere se il capello è rimasto agganciato a una delle rugosità del tubo. Se non lo si trova, si deve mettere a nudo il tratto di tubo che va dal sifone alla tubatura di scolo principale. È certo che in questo tratto appariranno molti capelli, e si dovrà far appello all’aiuto di tutta la famiglia per riuscire a esaminarli uno ad uno, in cerca del nodo. Se non si trovasse, si dovrà affrontare l’interessante problema di rompere le tubature fino al pianterreno, cosa che comporta uno sforzo ancor più grande perché per ben otto o dieci anni bisognerà lavorare in qualche ministero o azienda privata allo scopo di racimolare il denaro necessario all’acquisto dei quattro alloggi situati sotto quello di mio cugino il più vecchio, tutto ciò con l’enorme svantaggio, durante gli otto o dieci anni di lavoro, di non poter evitare la penosa sensazione che il capello non si trovi più nelle tubature e che solo grazie a un remoto caso fortuito sia rimasto impigliato in una protuberanza arrugginita del tubo.
Verrà il giorno in cui potremo rompere tutti i tubi degli alloggi, e per mesi e mesi vivremo fra bacinelle e altri recipienti pieni di capelli bagnati, e anche fra assistenti e mendicanti che pagheremo lautamente affinché cerchino, separino, classifichino e ci sottopongano i capelli atti a raggiungere la desiderata certezza. Non comparendo il capello, entreremo in una tappa assai più incerta e complicata, perché il tratto seguente ci condurrà alle fognature principali della città. Dopo aver comperato abiti speciali, impareremo a infilarci nei tombini a notte inoltrata, armati di una torcia potente e di una maschera d’ossigeno, ed esploreremo le gallerie secondarie e quelle principali, aiutati, se sarà possibile, da uomini della mala con i quali saremo entrati in contatto e ai quali dovremo dare gran parte del denaro guadagnato di giorno nel ministero o nell’azienda privata.
Molto spesso avremo l’impressione di essere arrivati alla fine, perché troveremo (o ci porteranno) capelli simili a quello che cerchiamo; ma siccome non si sa di nessun capello con un nodo in mezzo senza intervento della mano umana, finiremo quasi sempre col giungere alla dimostrazione che il nodo in questione è un semplice ingrossamento del calibro del capello (sebbene non si abbia nessuna notizia di alcun caso simile) o un deposito di qualche silicato o ossido qualsiasi prodotto dalla lunga permanenza a contatto con una superficie umida. È probabile dunque che ci inoltreremo nei diversi rami delle tubature secondarie e principali, fino ad arrivare in quel luogo ove nessuno si deciderà a penetrare: la cloaca massima che va a sfociare nel fiume, confluenza torrentizia dei detriti nella quale nessuna quantità di denaro, nessuna imbarcazione, nessuna specie di corruzione ci aiuterà a continuare le ricerche.
Ma prima, magari molto prima, per esempio a pochi centimetri dal buco del lavandino, all’altezza dell’alloggio del secondo piano, o nella prima tubatura sotterranea, ci può capitare di rinvenire il capello. È sufficiente pensare alla gioia che questo ci procurerebbe, allo sbigottito calcolo degli sforzi evitati grazie alla fortuna, per giustificare, per scegliere, per esigere sul piano pratico un esercizio che ogni maestro coscienzioso dovrebbe consigliare ai propri alunni fin dalla più tenera infanzia, invece di rompergli l’anima con la regola del tre composto o le tristezze di Caporetto.
Storie di cronopios e di famas (Historias de cronopios y de famas), Julio Cortázar, traduzione di Flaviarosa Nicoletti Rossini, Einaudi, 2006; pp. 34-36
Quasi quasi al prossimo shampoo provo..
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Nooo, non farlo,😅😅 che rischierei di averti sulla coscienza vita natural durante!! Non vorrai mica darmi questo peso, eh!?
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Quasi quasi mi è piaciuta di più la tua introduzione… 🙂
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Carissima Elena, mi stai prendendo benevolmente in giro 😉 Comunque non tutte queste storielle mi sono piaciute, alcune le reputo ben riuscite e altre meno. La raccolta precedente, intitolata Le armi segrete, mi aveva affascinato di più. In particolare la long-short-story de Il persecutore, che penso infatti di rileggere a breve…
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Nessuna presa in giro, il pezzo ti è venuto bene 🙂
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Gustosissimo, grazie davvero della scelta. Cerchiamo tutti qualcosa….
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Già. E a volte capita di dannarsi nel tentativo di recuperare ciò che si è perso o lasciato andare.
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Davvero. Io ogni tanto rileggo la poesia L’arte di perdere di Elizabeth Bishop
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Vado a cercarla. Grazie Silvia, un abbraccio!
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Molto piacevoli: brano E introduzione!!!
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