Di Cortázar, cioccolato, musica rilassante e altre amenità

Questo è un post zuccheroso e disimpegnato, infiocchettato qua e là di sollecitazioni bonarie, o per meglio dire scherzose, anche se non manca un sottofondo di serietà. Solo per farvi sapere che non sono emigrata su un altro pianeta ma sono sempre qui, semisdraiata languidamente sul mio divano sotto chili di libri, con fogli appuntati sparsi e appiccicati ovunque, anche sui capelli, con i pensieri che divagano dall’amatissimo Heinrich Böll, di cui presto pubblicherò qualcosa (a proposito, chi tra voi ha letto L’angelo tacque, ambientato nella Germania dell’immediato dopoguerra? al solo ricordo mi sento rimescolare dentro), fino al sorprendente (anzi, più che sorprendente) Julio Cortázar, per me ancora tutto da esplorare, in termini di opera omnia, anche se dopo aver letto tra un picco di febbre e l’altro cinque dei suoi racconti mi vedo già costretta ad una resa incondizionata, sedotta senza appello da uno stile che definirei incomparabile. Mi sono anche chiesta come io abbia potuto vivere, fino ad oggi, senza la consapevolezza della sua esistenza, senza avere attinto neppure una goccia dal calderone stratosferico della sua narrativa, e davvero non so cosa rispondermi…
A dire il vero qualche tempo fa una gentile fanciulla, che oltretutto scrive molto bene, mi aveva annunciato che sarebbe stato Cortázar ad agganciarmi, non viceversa, e mai previsione è stata più azzeccata. Come faccio, adesso, a liberarmi da una tale infatuazione? Non me ne libero, lascio invece che mi travolga, mi sommerga, mi spazzi via. Dovevo evidentemente aspettare che uscisse un po’ del cronopio che c’è in me per poter apprezzare il cronopio per eccellenza, vale a dire colui che mi avrebbe aperto le porte a un modo-mondo “diverso” di fare letteratura, lo scrittore Julio Florencio Cortázar Descotte per l’appunto, nato a Bruxelles nel 1914 da genitori argentini e morto a Parigi nel 1984, città dove risiedeva dagli anni ‘50 perché contrario alla politica dittatoriale di Juan Perón. Dovevo passare lo scoglio degli “anta” (ma solo perché sono una sprovveduta) per scoprire uno scrittore il cui talento è stato spesso paragonato a quello di Čechov, nondimeno a quello di Edgar Allan Poe, autore che Cortázar leggeva con particolare ingordigia fin da bambino e che senza dubbio ha contribuito a infondergli il gusto per il magico, il metafisico e talvolta per l’horror, che poi lui mescolava sapientemente alla realtà quotidiana per raccontare il Sudamerica attraverso una prosa elegante e musicale.

Ragazzi, che meraviglia la scrittura di Julio Cortázar! Così capace di attingere a piene mani dal surrealismo senza perdere nulla in concretezza ed efficacia espressiva, con quel piacere particolare del paradosso, del rovesciamento del convenzionale, dell’onirico intrecciato con la realtà che, in alcuni casi, si rivela o diventa più incisivo della realtà stessa… Un solo esempio, per ora, tratto dalla parte iniziale del racconto Las babas del diablo (Le bave del diavolo), che negli anni ’60 ispirò (ma solo in parte) il film Blow-up di Antonioni. Notate l’originalità espressiva, la capacità affabulatoria di agganciare il lettore fin dalle prime battute narrative; poi, man mano che si procede nella lettura, ci si ritrova ancora più implicati, impazienti di giungere alla fine per scoprire ciò che serpeggia sotto tante e tali suggestioni:

(….) Allora devo scrivere. Uno di noi tutti deve scrivere, se tutto ciò deve essere raccontato. Meglio che lo faccia io che sono morto, che sono meno compromesso del resto; io che non vedo altro che le nubi e posso pensare senza distrarmi, scrivere senza distrarmi (ecco, ne passa un’altra con un orlo grigio), e ricordarmi senza distrarmi, io che sono morto (e vivo, non si tratta di ingannare nessuno, lo si vedrà quando verrà il momento opportuno, perché in qualche modo devo pur procedere e ho cominciato da questa punta, quella posteriore, quella dell’inizio, che dopotutto è la migliore delle punte, quando si vuole raccontare qualcosa).
All’improvviso mi domando perché mai devo raccontarlo, ma se uno cominciasse a domandarsi perché fa tutto quello che fa, se uno si domandasse soltanto perché accetta un invito a cena (adesso passa una colomba e, mi sembra, anche un passero) o perché quando qualcuno ci ha raccontato una storia veramente buona comincia subito una specie di solletico allo stomaco e non si sta più quieti finché non si è entrati nell’ufficio vicino a raccontare ad altri la stessa storia; solo così uno è soddisfatto, è contento e può tornare al suo lavoro. Che io sappia, nessuno ha spiegato il perché di questo, sicché la cosa migliore è piantarla con i pudori e mettersi a raccontare, perché dopotutto nessuno si vergogna di respirare o di mettersi le scarpe; sono cose che si fanno, e quando succede qualcosa di strano, quando dentro la scarpa troviamo un ragno o al respirare si sente come un vetro rotto, allora bisogna raccontare quello che succede, raccontarlo ai ragazzi dell’ufficio oppure al medico. Ahi, dottore, ogni volta che respiro… Raccontarlo sempre, sempre togliersi quel noioso stuzzichio dallo stomaco.
E già che stiamo per raccontarlo, mettiamo le cose un po’ in ordine, scendiamo le scale di questa casa fino alla domenica 7 di novembre, giusto un mese fa. Si scendono cinque piani e ci si ritrova nella domenica, con un sole inaspettato, per un novembre a Parigi, con moltissima voglia di andarsene un po’ in giro, a vedere cose, a fare fotografie (perché eravamo fotografi, sono fotografo). So bene che la cosa più difficile sarà trovare il modo di raccontarlo, e non ho timore di ripetermi. Sarà difficile perché nessuno sa chi davvero sta raccontando, se sono io o quello che è capitato, o quello che sto vedendo (nuvole, e a volte una colomba), oppure se semplicemente racconto una verità che è solo la mia verità, e allora non è la verità altro che per il mio stomaco, per questa voglia che ho di uscirmene di corsa e di finirla in qualsiasi modo con questa storia, sia quello che sia. (brano estratto dal libro Le armi segrete, Einaudi, 2008, p.55-57)

Appare davvero curiosa questa dichiarata difficoltà di raccontare l’accaduto, che oltretutto si protrae per qualche altro paragrafo, alla stregua di un tormento che stenta a risolversi, prima di sfociare in una forma espressiva più decisa e compiuta… È un inizio caratterizzato da sfumature contradditorie e da improvvisi cambiamenti dell’io narrante, che a volte si esprime in prima persona e altre volte in terza, altre volte addirittura al plurale, creando un effetto abbastanza anomalo, ma tu che leggi non puoi fare a meno di staccare gli occhi dalla pagina, ormai sei catturato, sei preso al laccio da questo ritmo schizoide e oscillante, incantato dall’estro camaleontico dell’autore. Dalla sua audacia narrativa, da quell’inventiva così capace di sovvertire l’ordine naturale della lingua senza per questo risultare ostica, pesante o incomprensibile, ma anzi sempre avvincente. Interessante anche il tema trattato, perché Las babas del diablo fa perno sulla natura ambigua e mutevole della realtà, dove ciò che appare all’occhio umano verrà demistificato dall’occhio dell’obiettivo fotografico, che infatti è in grado di rivelare attraverso fotogrammi via via ingranditi, e non senza risvolti suggestivi di forte presa emotiva-narrativa, ciò che va oltre ogni tentativo d’immaginazione scontata.

Insomma, ci vorrebbe un intero post da dedicare solo a questo racconto, in modo da rendergli il giusto omaggio, ma l’impazienza già mi spinge ai bordi delle prossime storie, certa che non deluderanno. Da lettrice premurosa quale sono, mi sono già procurata in biblioteca l’intera raccolta, con in più le Lezioni di letteratura che Cortázar aveva tenuto negli anni ’80 in California, presso l’università di Berkeley (bellissime!! mentre le stai leggendo ti sembra quasi di ascoltarlo da vicino, sono di una chiarezza e scorrevolezza esemplari), e altri testi che appaiono bizzarri, fuori dall’ordinario… Come ad esempio Il giro del giorno in ottanta mondi, che è una miscellanea di aneddoti, foto, disegni, note saggistiche, riflessioni di vario tipo. Ne parlerò, sicuramente ne parlerò su queste pagine, se non mi eclisso prima. L’idea è quella di un’abbuffata cortazariana in piena regola, da propinare prima di tutto a me stessa e poi anche a voi, cari e malcapitati simpatizzanti del blog; ma non credo possa esistere ricostituente migliore per rimettersi dai postumi di un’influenza micidiale o da qualsiasi altro genere di deperimento, fisco o mentale che sia.

Julio Cortázar, 1978, Ulf Andersen Getty Images
Julio Cortázar, 1978, Ulf Andersen Getty Images

Tra un racconto e l’altro, ora che sto meglio mi concedo anche del buon cioccolato (lasciatemi divagare, che oggi sono in vena). Che poi è vero che fa bene all’umore, che stimola il rilascio di endorfine. Bisogna anche coccolarsi, ogni tanto, altrimenti che vitaccia è questa? E al diavolo la linea, care le mie signore! Chissenefrega di quel chiletto in più, si rimedia con la palestra! O con una settimana di bistecca ai ferri con insalata e un frutto! E poi la musica, per me sempre importante, perché mi permette di rilassarmi o di scaricare le emozioni in eccesso, come ad esempio questa che vi propongo oggi… Qualcosa di dolce, di molto dolce e rasserenante, accompagnato da una sequenza di immagini ancora più dolce, così da contrastare, almeno nei nostri piccoli spazi quotidiani, l’amarezza o le incazzature del periodo, che mica ci fanno bene queste cose. Conservatevi quindi in buona salute, cari amici, avviluppatevi in metri di sciarpa quando uscite di casa e non prendete freddo, diffidate di questo sole febbraiolo (cosa dite, non esiste l’aggettivo? via, permettetemi per una volta il neologismo!), così seducente ma però ingannevole, e ricordatevi che in caso di bisogno l’accoppiata Cortázar-cioccolatino è veramente esplosiva, risolve ogni problema, perlomeno in apparenza. Vi assicuro che per un’oretta o due vi dimenticherete di tutto, anche di voi stessi. E anche del pentolino sul gas, naturalmente.

E soprattutto, come dicevo, siate meno rigidi e impagliati, almeno ogni tanto! Lasciatevi andare al sorriso, alla tenerezza, alla poesia che a ben vedere è insita in tutte le cose che ci circondano (o quasi), e lasciatevi andare anche alla risata sguaiata, perlomeno a un atteggiamento scanzonato se capita l’occasione, riscoprendo magari il piacere di ridere di voi stessi e non solo degli altri. Che fa bene, questa cosa, fa molto molto bene. Poi, se ci è possibile, cerchiamo di scrivere in modo sciolto e naturale, senza troppi schemi o freni inibitori. Basta con le ingessature, con l’autocontrollo ad oltranza, che tanto rischiano di annoiare chi ha la ventura di leggerci; è tempo di esternare le emozioni, i sentimenti, le passioni più nascoste, lo sbeffeggio e lo sguardo ironico sulle cose, anche le contraddizioni e le eventuali debolezze, perché no? Perché nasconderle? Cosa vi hanno fatto di male? Perché fingere di essere perfetti? Le persone che ammettono i loro limiti sono infinitamente più simpatiche di quelle che cercano di occultarli. Via, dunque, le facciate imbalsamate che sanno di vecchio e stantio, via la rigorosità petulante dagli articoli che pubblichiamo nei blog. Non siamo degli accademici che devono tenere un ciclo di tediose conferenze. Diamoci una mossa, cari compagni di lettura e scrittura, e impariamo a scioglierci come dei cioccolatini, ad essere più naturali e sbrigliati, più leggeri nel senso buono del termine. Perché leggerezza non equivale a stupidità, a superficialità, ma è ben altra cosa. È la capacità di liberarsi dal peso eccessivo della materia, di sollevarsi al di sopra dell’opacità del mondo senza perdere nulla in termini di precisione e risolutezza, come spiegava bene Italo Calvino (il quale, oltretutto, ammirava tantissimo Julio Cortázar). Sgraviamoci allora delle corazze, di tanto in tanto, e andiamo anche controcorrente quando ci sentiamo di farlo. Concediamoci due passi nel delirio, proprio come sto facendo io in questo momento (e credetemi che la febbre è passata orimai da un pezzo, ve lo posso assicurare!). E per favore, usiamo più spesso i punti esclamativi per esprimere i nostri stati d’animo, che siano di convincimento, entusiasmo, sdegno, rabbia o altri sentimenti non fa troppa differenza; impariamo una volta per tutte la lezione di Čechov, perbacco!!! E sottolineo “perbacco”, che i termini desueti vanno recuperati e non dimenticati, se vogliamo essere per davvero controcorrente.

E allora dai, tiriamo fuori il cronopio che sonnecchia dentro di noi. E riduciamo i famas ai minimi termini, teniamo a bada la loro eccessiva razionalità senza però eliminarla del tutto, altrimenti il mondo (e noi con lui) precipita nel caos più totale. Spazio quindi alla fantasia, alla creatività, all’estro bizzarro, al pensiero anarchico. Spazio all’audacia, soprattutto, che oggi la gente pecca moltissimo di mancanza di audacia, mentre l’acquiescenza dilaga ovunque. Insomma, invece di rimanere mummificati nelle nostre tristi abitudini e nei ricordi etichettati del passato, a rimuginare sul già visto e sul già fatto e sul già andato, proviamo un bel giorno a camminare ballando lungo la strada o divertiamoci, così per caso, a spruzzare il tubetto di dentifricio fuori dalla finestra del bagno, con l’intento di sorprendere e di sorprenderci (questo è il modo in cui agisce il cronopio*, mirabolante invenzione dell’universo cortazariano, mentre il fama lo osserva scuotendo la testa). Anche perché la vita, soprattutto quella che ci impone il sistema, è già abbastanza gravosa e noiosa senza che ce ne aggiungiamo del nostro.

A voi ora la musica, cari amici e lettori, e lasciatevi rapire dalle immagini…. Se avete afferrato abbastanza bene il concetto che sta alla base di questo mio lungo sproloquio e non opponete resistenza, capiterà anche a voi di sciogliervi come un cioccolatino. Garantito.

~~~~~~~~~~

*Nota aggiuntiva: per chi non lo sapesse, nell’immaginario dell’autore il Cronopio incarna la fantasia, la follia, l’estro creativo, il capovolgimento delle norme, l’intuito progressista che porta nuove idee nel mondo, al contrario del Fama che rappresenta invece l’ordine, la razionalità, l’efficienza, la perfezione scontata, lo status quo. E tutti abbiamo un po’ di uno e un po’ dell’altro, nel nostro animo, anche se a volte il primo prevale sul secondo o viceversa. Poi ci sono anche le Speranze, ma quello è un altro discorso. Ne riparleremo, forse tra un mesetto o più. Che far fuori un tomo di millequattrocento pagine non è una bazzecola, per quanto si prospetti affascinante.

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25 pensieri su “Di Cortázar, cioccolato, musica rilassante e altre amenità

  1. Ho scoperto solo alla fine del tuo post che la gentile signorina ero io!!! Sono felice che la malia di Cortazar abbia fatto un’altra felice vittima!!!!! Ti prego di notare l’uso sapiente del punto esclamativo, non per niente quel racconto di Cechov è uno dei miei preferiti 😊

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  2. Carissima, ben tornata e vedo con piacere che l’influenza ti ha restituita a noi più vispa e pimpante ed entusiasta di mai! 🙂
    Cortazar… di lui mi hanno affascinata i racconti di “Bestiario”, letti tanti anni fa e poi riletti più e più volte. Ciascuno di essi un capolavoro, poi naturalmente ognuno ha i suoi preferiti. Sull’onda di quell’entusiasmo volevo procedere, ma poi sia “Il gioco del mondo in ottanta mondi” che “Rayuela” mi hanno francamente molto annoiata (credo di ricordare che non nemmeno portato a termine la lettura, cosa che per me non avviene molto spesso, abbandono un libro solo solo in casi eccezionalissimi…), e non ho prosegito. Ma i racconti sono davvero splendidi…
    Ciao e a presto!

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    1. Adesso continuo le Storie di cronopios e di famas, poi passo a Bestiario. Rayuela me lo tengo per ultimo, curiosa di scoprire l’effetto che farà su di me. Un super abbraccio.
      PS bellissimo “pimpante”, un altro termine che oggi viene poco utilizzato 😉

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  3. Cara, ho letto questo post tutto d’un fiato, e credo che me lo salverò tra i preferiti per rileggermelo quando avrò bisogno di un po’ di carica, esattamente come in questi giorni. Viva te, viva Cortázar! Non vedo l’ora di scoprire dove ti porteranno le prossime letture :). Un abbraccio!

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  4. Renza

    Cara Alessandra, pimpante e frizzante sei alfin tornata. Che bello! Anch’ io ho un debole per Cortàzar, per i suoi racconti suggestivi e catturanti. Ho apprezzato moltissimo anche un suo romanzo “ Il viaggio premio”. Una storia che si svolge nel luogo chiuso di una nave, per un viaggio che non si farà. Una situazione oscura, palcoscenico di molti personaggi ( l’ omosessuale, gli intellettuali impegnati, i gruppi familiari di modesta estrazione) e poi il personaggio più tragico e dolente, Medrano, uno che non fugge il ricordo ma neppure lo coltiva; che si accorge di vivere non nel presente ma in un adesso . Il finale è tragico e struggente, e la scrittura di Cortazar rende in maniera mirabile i sentimenti; lontano da ogni retorica, ovviamente, e da ogni sentimentalismo, scolpisce con vigore momenti di felicità mancata.
    Io ho letto” L’ angelo tacque” e l’ ho trovato grandioso, nella sua tragicità.
    Quanto a tutto il resto, mia cara, ti ho letto con grande piacere nei tuoi propositi di vitalità. Vorrei dirti : non esagerare con il cioccolato , ma sarei davvero ciò che sono: un grillo parlante…
    Quindi vai, ma sul punto esclamativo, io sono ancora con il buon impiegato che non trovava ragione di collocarlo in una circolare…
    Un abbraccio.

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    1. Renza, che piacere leggerti! Grazie per il suggerimento cortazariano, così interessante e ben illustrato. Forse me lo avevi detto, se non ricordo male, di aver letto quel romanzo di Böll. Allora ti riservo la poltrona dell’ospite d’onore per quando ne parlerò nel blog: sei autorizzata a disquisirne all’infinito. Guarda che ci conto! 🙂

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      1. Devo dirti, per stare nel retrò, che se c’è una frase che mi piace da matti è: Cielo, mio marito!… (qui anche un impiegata – ho detto impiagata non impiegato di un ministero – il punto esclamativo non lo eviterebbe!!!!!!!!
        Buona notte, amica mia, e sogni d’oro (che poi al mattino si rivelino di latta, importa?)

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    1. Ahaha!! Hai ragione! Comunque no, non mi preoccupo, anche perché quel chiletto in più lo noto solo io, gli altri continuano a dirmi che sono troppo magra 😉 Credo che Cortazar potrebbe piacerti, per quanto mi riguarda ho iniziato con la raccolta “Le armi segrete” ed è stato subito un colpo di fulmine…. Un racconto più bello dell’altro. Ne riparleremo, senza dubbio ne riparleremo.

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  5. Cara Alessandra, bentornata, mancavano i tuoi articoli! Ho apprezzato il taglio che hai dato a questo post in particolare, dall’introduzione di Cortazar alle divagazioni, cioccolatini compresi! Sbaglio o leggo fra le righe un cambio d’aria in questo blog (nel senso positivo)?
    Mi hai ricordato che devo rispolverare le mie vecchie letture su Cortazar, anche io l’ho scoperto tramite il consiglio di un “blogger”.
    i piacerebbe leggere un tuo articolo dedicato proprio alla critica di un singolo racconto di Cortazar, pensavo ultimamente alla preziosità delle guide di lettura e a come diano modo di confrontarsi.
    Un abbraccio e buona settimana 🙂 .

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    1. Sto riflettendo da giorni su Il persecutore, vediamo cosa ne verrà fuori… Nel frattempo continuo ad approfondire l’opera dell’autore. Ciao Marian, grazie per queste tue belle parole… (sì, il piglio ottimistico serve a contrastare la malinconia, che purtroppo è sempre in agguato)

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  6. Pingback: Bestiario – Il verbo leggere

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