Belle in carne, come piaceva all’epoca. Ma anche dotate di una vitalità esuberante, di una floridezza dirompente, messa ancora più in risalto dai contrasti di luce e colore, grazie alla mano di un artista che era in grado di creare forme armoniche e nello stesso tempo generose, opulente, in perenne equilibrio tra sacro e profano. Donne che non dovevano vergognarsi delle loro rotondità e degli eventuali inestetismi dovuti all’esorbitanza delle carni, proprio perché appunto figlie del Barocco, come scrive Wisława Szymborska nella poesia, e quindi libere di piacere e di piacersi per quello che effettivamente erano, senza complessi di sorta. Ed è forse per tale motivo che ancora oggi, a distanza di secoli, suscitano in noi che le osserviamo non solo stupore ma anche rispettosa ammirazione. Poi Szymborska, con la consueta e deliziosa ironia, non evita di confrontarle con le “magre sorelle” dei nostri tempi, che se avessero avuto la sventura di nascere nel Seicento… altro che stuolo di fotografi, stilisti, riviste di moda e contratti milionari! Di certo, almeno agli occhi del nostro pittore fiammingo sarebbero passate inosservate.
Ercolesse, fauna femminile,
nude come il fragore di botti.
Fanno il nido in letti calpestati,
nel sonno la bocca si apre al chicchirichì.
Le pupille rovesciate all’indietro
penetrano dentro le ghiandole
da cui i lieviti stillano nel sangue.
Figlie del barocco. L’impasto si gonfia,
vaporano i bagni, s’arrossano i vini,
nel cielo galoppano porcelli di nuvole,
le trombe nitriscono l’allarme carnale.
O cucurbitose, o esorbitanti,
e raddoppiate dal cader dei veli
e triplicate dalla violenza della posa,
grasse pietanze d’amore!
Le loro magre sorelle si alzarono presto,
prima che nel quadro facesse giorno.
E nessuno le vide incamminarsi in fila
dal lato non dipinto della tela.
Esiliate dello stile. Costole contate,
mani e piedi d’uccello.
Provano a volare sulle scapole sporgenti.
Il Duecento gli avrebbe dato un fondo d’oro.
Il Novecento – uno schermo d’argento.
Ma il Seicento non ha nulla per chi è piatto.
Giacché perfino il cielo è convesso,
convessi gli angeli e convesso il dio –
Febo baffuto che su un destriero
sudato irrompe nell’alcova ribollente.
La gioia di scrivere, Wisława Szymborska, Gli Adelphi, 2009, p.143
Nelle immagini, tratte da wikipedia: Peter Paul Rubens, Ratto delle figlie di Leucippo, 1618, olio su tela, Monaco, Alte Pinakothek / Pieter Paul Rubens, Le tre Grazie, 1636, olio su tela, Madrid, Museo del Prado.
beh certo c’era un canone di bellezza diverso all’epoca di Rubens, pur nella esagerazione cellulitica la donna era sicuramente simbolo di carnalità e di fecondità appariscente e potente nelle raffigurazioni che comunque come giustamente fai notare sono molto armoniose
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Già, i canoni della bellezza cambiano sempre, a seconda dell’epoca. Però mi è piaciuta la bravura della poetessa, che da un’attenta osservazione dei quadri, e dei loro vari dettagli, è riuscita ad estrapolare un concentrato di versi veramente gustosi, beffardi ma anche significativi
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sicuramente degna di nota, non volevo sminuire la sapiente originalità poetica della Szymborska, ma davanti ai quadri di Rubens si perde a volte l’orientamento, in questo caso anche poetico 🙂
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In effetti, accostandoli visivamente alla poesia, sono loro che rischiano di rubare tutto lo spazio sul palco 😉 Un tripudio di forme in esplosione, pur nella loro armoniosità.
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Ohhhhh! Hai trovato il modo di avvicinarmi alla Poesia!
Questa è simpaticissima e mirata e acuta.
Nota: a proposito dei canoni rispondenti all’epoca…. già Marylin Monroe e le nostre dive Anni Sessanta (le cosiddette “Maggiorate”… Sophia Loren ecc.) rispetto alle Miss Italia odierne – sono di proporzioni diverse, (La differenza che c’è tra una curva e una linea retta) 🙂
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Insomma, bastava un paesaggio collinare per farti vincere la ritrosia al genere 😉 Aggiungo una piccola curiosità, appena colta da uno dei tanti articoli che circolano in rete: sembra che nel quadro “Le tre Grazie” Rubens, sposato due volte, abbia ritratto entrambe le mogli. Elena Fourment, a sinistra, e Isabella Brant al centro. Chi fosse la terza modella senza veli, non si sa.
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Come le ciliege, una tira l’altra o meglio, non c’è due senza tre. È chiaro che la terza era la candidata alla prossima succulenta esperienza matrimoniale.
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Grasse pietanze d’amore, come dice Szymborska 🙂 Avevo proprio bisogno di sorridere un po’, visto che da qualche tempo devo fare i conti con la parte più buia di me stessa.
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Tranquilla! Non sei la sola a fare i conti con le parti buie, alle mie,nel mio caso, aggiungo anche quelle degli altri.
Da tempo ho fatto mia una frase di Olmi a chiusura di un’intervista ormai di parecchi anni fa: «Sono ottimista… per disperazione».
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Beh, considerata la stazza, il ratto delle figlie di Leucippo non deve essere stata impresa da poco.
La poesia della Szymborska ha una serie di immagini azzeccatissime, una più bella dell’altra. Ma quella più azzeccata (oltre ai porcelli di nuvole, che è geniale) è “grasse pietanze d’amore”, dove il fascino erotico (un po’ dubbio, secondo me) slitta verso quello gastronomico, più evidente (le Grazie hanno qualcosa del bollito) 🙂
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Ahahahaha!! In effetti, tutta quell’abbondanza suggerisce facili collegamenti con la gastronomia 😉 No, anche secondo me non hanno nulla di erotico. Magari richiamano alla mente una certa idea di prosperità, di fecondità, come aveva ventilato Daniela. Però è anche vero che noi ragioniamo in base ai canoni estetici attuali, che bene o male sempre ci condizionano. Pare invece che all’epoca le donne di Rubens suscitassero spesso (e molto facilmente) gli ardori maschili.
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Non solo all’epoca, sai. Temo che i canoni odierni (e solo odierni in tutta la storia) siano dovuti al pret à porter: povatevi a vendere abiti già confezionati senza prescrivere il tutte magre e tutte uguali!
Grande Szymborska!
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Ahaha! 😁 Giusta osservazione. Se oggi rientri nei parametri standard no problem, altrimenti devi farti chilometri per cercare un negozio con taglie extralarge. Le nostre nonne, che si confezionavano gli abiti in casa, avevano di sicuro qualche preoccupazione in meno…
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Bella la poesia convessa, nutrita e nutriente. Quanto alle donne in oggetto, ho l’ impressione che stiano tornando in auge, in questa epoca di cibo a gogò…
Si cucina in TV, si mangia ovunque ( la mia città, famosa perchè ” dotta”, è diventata la città dei taglieri). Normalmente si mangiava per vivere oggi si vive per mangiare…
Quanto alle parti buie, Alessandra cara, il nostro ( se posso permettermi) Guido ci ha riservato una utilissima indicazione. Ne faremo tesoro, ringraziandolo.
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Carissima, allora vivi nella città delle torri, la cui antica università vide anche Dante e Petrarca come studenti. Hai ragione, Guido è una persona speciale che da anni mi/ci rallegra con la sua presenza. Una persona con la quale è piacevolissimo conversare. Ormai qui è di casa e può fare quello che vuole, meno che fumare il sigaro 😉
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GIà, cara Alessandra, la città che è stata onorata da tali poeti ” laureati” e che si illude di poter vivere sugli allori…
Quanto alle parti buie, proprio ieri leggevo in un bel libro di Sandra Petrignani, La corsara. Ritratto di Natalia Ginzburg, un pezzo della Ginzburg, che risale al 1948, Discorso sulle donne, che comincia così Le donne hanno la cattiva abitudine di cascare ogni tanto in un pozzo… e non vado oltre perchè l’ articolo prosegue con affermazioni che oggi susciterebbero reazioni veementi e accuse di antifemminismo . Ciò che mi preme riportarti è il fatto che Alba de Céspedes pubblicò lo scritto sul suo mensile politico e culturale Mercurio con questa nota Io credo che questi pozzi siano la nostra forza: poiché ogni volta che cadiamo nel pozzo noi scendiamo alle più profonde radici del nostro essere umano.
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Ciao. Mi hai invogliato a leggere di più su Szymborska. Bel post!
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Mi fa piacere, grazie. È una poetessa che merita. Quando inizi a leggerla non finiresti più… Ti consiglio la raccolta “La gioia di scrivere”, curata molto bene da Pietro Marchesani (editore Adelphi).
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