Menzogna e sortilegio – in lettura

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Opere, Elsa Morante, I Meridiani, vol.I, 1988

Che meraviglia! Un romanzo ricco, sontuoso, dalla prosa ampia ed elegante, ma nello stesso tempo coinvolgente, trascinante, che lascia ben impressi nella mente i tratti caratteriali e gli stati d’animo dei personaggi (in particolare quelli negativi, tratteggiati con grande maestria) e che ricorda come struttura i romanzi di stampo ottocentesco, anche per via della ripartizione in parti e capitoli, con quest’ultimi introdotti da brevi didascalie iniziali.
Pubblicato nel dopoguerra del ’48, in pieno clima neorealista, questo primo romanzo della Morante (elaborato in quattro anni) si poneva in netto contrasto con le altre opere letterarie del periodo, che vedevano l’emergere di autori come Elio Vittorini, Cesare Pavese, Italo Calvino, Vasco Pratolini e altri ancora, tutti impegnati nel descrivere gli eventi drammatici, ancora vicini e sofferti, dell’esperienza partigiana, della liberazione dal nazifascismo, e quindi ad illustrare la realtà contemporanea di un Paese appena uscito dal conflitto, alle prese con problemi d’ogni genere. La Morante, invece, con “Menzogna e sortilegio” sembrava voler percorrere un cammino tutto suo, squisitamente individuale e per certi versi paradossalmente moderno, considerata appunto la totale estraneità con i modelli letterari allora in voga. Fu quindi a suo modo provocatoria, magari senza averne l’intenzione.
Leggendo qualche nota biografica, mi sembra di aver intravisto nella sua personalità un bisogno primario di libertà espressiva, una necessità di essere sempre fedele a se stessa e all’ispirazione creativa del momento, che attingeva spunti sia dalle varie letture fatte (fra le tante, quelle degli amati Cervantes, Stendhal, Dostoevskij, Kafka e Verga) che da episodi del vissuto personale. Oltre questo, l’autrice era anche indifferente ai richiami del mercato letterario, abituata a lavorare con dedizione quasi artigianale su ognuno dei suoi romanzi, ai quali dedicava anni di scrupolosa gestazione.

Elsa_morante_gatti wikipedia
Foto da Wikipedia

In ogni caso, anche se Menzogna e sortilegio si discostava dall’attualità storica e memorialistica del dopoguerra, ciò non impedì alla Morante di avere una folta schiera di estimatori e di vincere il Premio Viareggio. La trama del libro ha infatti il potere di affascinare il lettore fin dalle prime pagine, trascinandolo dentro un’epopea famigliare che si svolge sul finire dell’Ottocento, in un luogo imprecisato del sud Italia (probabilmente la Sicilia). La storia è narrata dalla voce di Elisa, ultima discendente di tale famiglia, che ricorda e rievoca le esistenze di coloro che l’hanno preceduta (la nonna Cesira, la madre Anna e la sua storia d’amore con il cugino Edoardo, e tutti gli altri personaggi che si intromettono nella vicenda), che come fantasmi continuano in qualche modo ad affascinarla e tormentarla… Da qui pertanto il suo bisogno di scrivere, di raccontare, di ripercorrere il trascorso delle vicende parentali per fare luce su diverse questioni.

Non ho idea di che piega prenderà il romanzo, visto che sono all’inizio della terza sezione (intitolata L’anonimo, p.277), ma per darvi nel frattempo un’idea di come la scrittura morantiana sia capace di esprimere al meglio gli impulsi emotivi, le contraddizioni e gli stati d’animo dei protagonisti, vi riporto un brano estratto dal quarto capitolo della sezione precedente (La cuginanza, pp.218-222), dove l’immaturo e viziato Edoardo, per sentirsi importante al cospetto della cugina Anna, e nel contempo riassicurato dall’amore della stessa, si diverte a torturarla con la gelosia… Notate come Edoardo cerchi non solo di ingelosirla, di angosciarla, ma anche di farla sentire in colpa per questo stato d’animo. Davvero tremendo… e bravissima, la Morante, a rendere con tanta intensità il rapporto un po’ contorto e ossessivo dei due giovani innamorati, al punto di tenere sulle spine anche il lettore.

Non sempre le commedie fra i due cugini erano gaie come quelle ora descritte; a volte, anzi, quel povero, disadorno salotto delle Massia era teatro di scene crudeli.
Un pomeriggio, per esempio, sedendo i due cugini soli soli sul sofà dalle molle rotte e cigolanti, Edoardo inaspettatamente annunciava ad Anna d’essersi fidanzato. Le descriveva la propria fidanzata (una signorina della nobile società), lodandone la persona, la famiglia, la ricchezza. Ne diceva anche il nome e il cognome, un cognome che Anna non conosceva, ma che doveva essere molto illustre, a giudicare dal tono pomposo di lui nel pronunciarlo. E raccontava che il corredo della sposa era già stato ordinato a Parigi, e che durante la festa nuziale un’orchestra, fatta venire da Vienna per l’occasione, avrebbe suonato delle composizioni di lui medesimo, Edoardo. Sí che, appunto, in quei giorni, egli passava lunghe ore al pianoforte contemplando, per ispirarsi, il ritratto della sua futura sposa…
Naturalmente, la storia di questo fidanzamento era inventata; ma Anna, vedendo l’espressione seria, e un poco melanconica, d’Edoardo, non dubitava piú ch’egli dicesse il vero. Un sorriso le serpeggiava sui labbri, e il colore le fuggiva rapidamente dal volto; ma essa non diceva nulla. Allora, sogguardandola, il cugino la lodava per la sua impassibilità nell’apprendere una notizia che da un lato poteva, sí, farle piacere, come a parente dei Cerentano, ma da un altro lato avrebbe potuto rattristarla… Ebbene, giacché si dimostrava così savia, lui, per premio, il giorno dopo le avrebbe portato il ritratto della fidanzata, affinché ella potesse conoscere la futura cugina, almeno in effige: ché lui avrebbe voluto, veramente, presentare Anna alla sposa, ma ciò era impossibile. Esistono, come Anna ben sa, delle barriere sociali… a questo punto del discorso d’Edoardo, Anna alzava una spalla, e travolgendo le fosche pupille nel viso bianco, debole e spaurito, dichiarava: – Non-voglio-vederla –. La sua voce, nel dir ciò, suonava così incrinata e fioca, che il cugino doveva curvarsi su di lei per afferrare le sue parole; ma, afferratele, una luce di ineffabile allegria (da lei non vista), gli accendeva lo sguardo. – Non vuoi vederla! – egli esclamava in tono corrucciato, – nemmeno in ritratto? – Anna ripeteva il gesto d’alzare la spalla, con un sorriso che valeva una ripulsa. – E perché, dunque! – si ribellava Edoardo, – che cosa t’ha fatto quella poverina?
– Essa non ti conosce, – riprendeva a dire, dopo una pausa, – ignora perfino che tu esisti, e tu, scommetto, la detesti già. Sappilo, tu sei proprio ingiusta verso quella poverina, e io dovrei pregarti di chiedermi scusa per l’insulto che, odiando lei, tu fai a me. Difatti, per un uomo la sposa legittima non è soltanto amata e cara, è anche sacra. Egli esige che tutti la amino e la rispettino, come lui stesso la ama e la rispetta e, davvero, se tu fossi un uomo mio pari, invece d’una ragazza, io dovrei sfidarti a duello. Dunque, tu rifiuti di chiedere scusa? – Con una sospensione arguta, curiosa e tenera, ch’egli celava sotto un aspetto alquanto aggrondato, Edoardo attendeva la risposta della cugina; ma questa, senza dargli risposta, lo fissava con occhi grandi grandi e opachi; – Oh, come ti sei fatta brutta, – le diceva lui, rimirandola, – ti sei tutta aggrinzita, sembri una vecchia. È l’effetto della tua cattiveria, e fors’anche della solita invidia che ti rimorde. Credi ch’io non ti indovini? tu ti sforzi di nasconderlo, fai l’indifferente, ma i tuoi sentimenti ti si leggono in viso. Guàrdati, guàrdati allo specchio –. Egli le mette innanzi uno specchio, ma lei si torce per non vedere il proprio viso. – Infine, – egli riprende, – vorrei sapere come, in una occasione simile, avrei dovuto comportarmi verso di te? forse avrei dovuto nasconderti il mio fidanzamento? Ma prima o poi lo avresti saputo lo stesso. Tu, cugina mia, devi educarti meglio, la tua segreta ribellione è ingiusta, il nostro amore (lo sai, te l’ho ripetuto più volte), non poteva concludersi con le nozze. E, d’altronde, un uomo deve scegliersi un giorno una compagna di tutta la vita, che faccia parte della sua stessa società, che splenda degnamente vicino a lui… Ecco, il mio giorno è venuto, ho trovato la mia sposa ideale. Ho sempre immaginato una sposa piccolina, biondina, come la mia Laura… Le spilungone mi vengono presto a noia. E tu, cugina mia, con le tue levate di spalle e i tuoi sorrisi insultanti, ti sei rivelata una vera donnicciola in questa occasione. Basta, da qui al mio matrimonio debbon passare ancora quindici giorni, e in questo frattempo, se tu manterrai un contegno savio, seguiteremo a vederci… Via, consolati, Annuccia, e per oggi non pensarci più.
Durante un tal discorso, Anna aveva mantenuto quel silenzio bianco, gelido e affascinato dietro cui pareva barricarsi la sua difesa estrema. Soltanto verso la fine, allorché Edoardo aveva nominato la mia Laura, ella aveva incominciato a tossire stranamente. Edoardo aveva imparato a conoscere questa tosse disordinata, fittizia, con cui la cugina soleva talvolta mascherare la propria voglia di pianto. Or l’assalto di tosse le si tramutò presto, a suo dispetto, in acuti singulti; e, quasi per eludere la propria vergogna di piangere, e fermare, nel tempo stesso, i crudeli discorsi del cugino, ella gli gridò, fra il pianto, queste assurde parole:
– Sí, ti chiedo scusa, ti chiedo scusa, ti chiedo scusa!
Ai primi colpi di tosse, già Edoardo aveva incominciato a pentirsi; come vide, poi, la cugina rompere in lagrime, e la udí chiedergli scusa, mutò faccia, e baciandola, e ridendo teneramente, esclamò: – Oh, Anna mia, come puoi essere cosí credula! Non t’accorgi, dunque, ch’io m’approfitto della tua semplicità, e che la storia del mio fidanzamento è tutta una fandonia?
– Una fandonia… – ripeté Anna, malcerta, e gli gettò, fra le lagrime, uno sguardo obliquo, dibattendosi nella speranza insidiosa.
– Oh, ma chiunque altro al tuo posto se ne sarebbe accorto subito! Non s’è mai vista un’anima semplice come la tua! Eppure non sei mica una ragazzina, hai la mia stessa età!… Ah, ecco che di nuovo sei felice!
Difatti, Edoardo aveva incontrato in questo momento gli occhi di sua cugina, che, come due spiriti solitari, s’erano messi a raggiare in un modo meraviglioso nel volto sbattuto e tremante di lei. Raggiarono, sí, i due spiriti, ma per un istante solo, e tosto si spensero. Ché la povera Anna, vinta da emozioni cosí fiere e opposte, ripiegava la testa, priva di sensi, sullo schienale del sofà.
Uno svenimento oltrepassava, in verità, le perfide ambizioni d’Edoardo. Egli fu invaso da un violento rimorso, ed espresse questo suo rimorso con parole tanto gentili da ripagare non di uno ma di dieci svenimenti la povera Anna, sempreché questa avesse potuto udirle. Anna giacque invece senza vedere né udire nulla per circa un minuto; ma bisogna dire che per tutto il resto di quel pomeriggio Edoardo mostrò un umore mite, sollecito e sospiroso, onde, alla fine, quello fu un giorno felice per Anna.
Il rimorso provato non ritenne, però, il cugino dal tornare spesso, in seguito, sul crudele argomento delle fidanzate. Egli ripeteva ad Anna che la notizia del proprio fidanzamento, se quel giorno era stata prematura, poteva avverarsi tuttavia da un momento all’altro, che le madri piú ricche e orgogliose della città intrigavano per dargli le loro figlie, e che lei, Anna, doveva disporsi a ricevere una nuova di tal sorta dall’oggi al domani. Cosí Edoardo godeva di far divampare intime guerre nel cuore di Anna, a modo d’un ragazzetto arrogante che scherza con una leonessa chiusa in gabbia, sapendo ch’essa può nuocergli ancor meno d’un agnello. O meglio, a modo del fiero proprietario d’una bellissima cagna-lupa, feroce belva con tutti, e agnella con lui solo.
Il fatto è che Anna, come sogliono talvolta le anime forti e intere allorché s’innamorano, aveva del tutto rinunciato a se medesima e perfino al proprio criterio. Gli atti e le parole d’Edoardo, ella mai li attribuiva a malizia, anzi nemmeno li giudicava, accettandoli come i fedeli accettano i decreti celesti. Se un’offesa di lui le suscitava sdegno, ella preferiva di far la propria vendetta su se stessa piuttosto che sul troppo amato offensore: trasformava, cioè, il proprio sdegno in una piú docile sottomissione a lui, domandosi con aspro dolore, come sotto una sferza. Era proprio questo gioco che tentava il viziato cugino: nessuno spettacolo, infatti, è piú grazioso, per un amante crudele, di quello d’un cuore orgoglioso che castiga se stesso.


Una volta terminato il monumentale romanzo (700 e passa pagine!), mi piacerebbe leggere La storia (in primis) e poi anche i saggi, i vari racconti della Morante. Desidero indagarla a fondo questa complessa e immaginifica scrittrice (capace di coniugare realismo, naturalismo e atmosfere fantastiche e di sogno), consapevole di essermi persa, fino a questo momento, un grande talento della nostra letteratura novecentesca.
E voi, cari amici lettori, avete letto Elsa Morante? Vi piace o non vi piace il suo stile narrativo? C’è qualcuno dei suoi libri che vi è rimasto nel cuore, e che magari un giorno vi piacerebbe rileggere?

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35 pensieri su “Menzogna e sortilegio – in lettura

  1. A me è rimasto nel cuore “La storia”, uno dei miei romanzi preferiti in assoluto. Una prova magistrale, con pochi uguali nella nostra letteratura del dopoguerra. Anche “L’isola di Arturo” mi ha lasciato molto. Questo di cui parli oggi non l’ho letto e dato ciò che scrivi, credo sia venuto il momento di farlo. Aspetto di leggere il tuo resoconto finale… ciao, Pina

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      1. E’ uno stile molto asciutto e diretto, vicino al neorealismo; le descrizioni sono accurate, toccanti o crude, ma sempre molto aderenti alla realtà. Morante inquadra gli avvenimenti della Storia e ci affianca la storia delle persone comuni che ne fanno parte. Un grande affresco che dal generale va al particolare.

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  2. Conosco la Morante di nome, ho anche dei suoi libri, però mai toccati, a causa di titoli regolarmente sopravvenuti e di cui per varie ragioni si imponeva la lettura.
    Quindi, tutto quello che so è il brano da te solertemente riportato. Nei confronti del quale, peraltro, mi inficia l’obiettività richiesta l’antipatia che quel ragazzo idiota mi suscita coi suoi giochetti peraltro inutili che mi ricordano la pochezza umana, in fin dei conti, la quale sembra trovare ragione di vita nel negare le vite altrui.
    (Tu mi dirai che proprio la repellenza che la Morante è riuscita a ispirarmi è la riprova della sua bravura 🙂 )

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    1. Già 😉 Anche perché, trattando della “decadenza” di una famiglia del sud, è naturale che mettesse in scena anche personaggi egoisti, odiosi o psicologicamente fragili. Anna è figlia di un nobile decaduto e di una povera maestrina, mentre il cugino Edoardo è nobile e ricco, cresciuto viziato dalla madre, e probabilmente, oltre ad essere insicuro e bisognoso di continue conferme, rappresenta anche la mentalità borghese e maschilista dell’epoca (che la Morante forse, ripeto forse, intendeva mettere in ridicolo). Finora ho comunque rilevato degli eccessi emotivi in quasi tutti i personaggi, che si amano o si odiano (e si illudono a vicenda) senza tanti mezzi termini. E la Morante è bravissima nel tratteggiare queste esuberanze… Davvero brava. Sono curiosa di vedere come prosegue la vicenda, anche se purtroppo in questo periodo ho tempo di leggere solo la sera.

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  3. Romanzo meraviglioso, che ti cattura fin dalle prime pagine. La mia lettura della Morante, è iniziata, parecchi anni fa, con Aracoeli ed è proseguita con La Storia, Menzogna e sortilegio e L’isola di Arturo, capovolgendo l’ordine cronologico della loro uscita editoriale, ma senza volerlo. Per me è stata una grandissima scoperta che mi ha indotto a divorare, letteralmente, i suoi scritti, tutti davvero molto considerevoli. Non farti mancare, poi, i racconti di Lo scialle andaluso. Scrittrice davvero molto grande, secondo me.

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  4. Temo che oggi si legga poco Elsa Morante; le cui opere sono capolavori assoluti. Un’autrice che, al tempo, mi ha tenuto legata e affascinata a lungo, per anni. Non saprei scegliere tra i suoi romanzi, anche se, per me, L’isola di Arturo ha mantenuto un particolare fascino.
    Devo tuttavia ammettere che – riletto da poco, e ancora amato, questo suo romanzo – oggi, non ho desiderato rileggerla oltre. E non l’ho proposta.
    Me ne sono chiesta il perché e credo di poter dare una sola risposta (che vale per me sola, ovviamente). Si tratta di un’autrice che resterà, senza dubbio, i cui libri rimarranno annoverati tra i classici, ma forse solo dopo un periodo di (relativo) sienzio, necessario al trascorrere da un tempo in cui la società e la sua scrittua erano sincroni, pur nell’originalità delle sue opere, a un tempo che deve/vuole ancora liberarsi di un mondo le cui tracce permangono, come fattore di disturbo, che si desidera rimuovere. Tracce respinte, negate. Non lo so dire meglio. Qualcosa del genere lasciare la cronaca per giungere alla storia, e solo allora a una nuova comprensione possibile.
    Dovremmo esserci, a un giusto tempo. Spero davvero che tu possa leggerla, restituircela; e farla leggere.

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    1. Immagino che ti stia riferendo, in particolare, al romanzo La storia, che quando uscì negli anni ’70 provocò reazioni molto accese, soprattutto da parte della sinistra, con dibattiti pro e contro. Sono infatti curiosa di leggerlo, anche per capire il motivo di tutto quel putiferio. Penso comunque che sia oggi possibile, a distanza di tanti anni, leggerla da un punto di vista più allargato, profondo, con maggiore obiettività. Magari cogliendo anche aspetti che all’epoca della pubblicazione erano stati sottovalutati o fraintesi.

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  5. Ho amato molto Elsa Morante soprattutto per L’isola di Arturo e La storia. Ma mi sono piaciute anche le altre sue opere come Menzogna e sortilegio e l’ultimo, Aracoeli. Menzogna e sortilegio l’ha scritto quando era ancora sposata con Moravia.
    Negli anni in cui è uscita La storia, gli anni 70, in Italia il dibattito a sinistra era molto acceso e c’era questa ipersensibilità verso qualsiasi interpretazione su quanto era avvenuto nel nostro paese durante gli anni del fascismo e della seconda guerra mondiale. Ero un’adolescente allora è ricordo le polemiche. Però ho voluto leggere subito il libro e mi è piaciuto immensamente. Te lo consiglio caldamente. Ciao

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  6. dallamiatazzadite

    Ho letto questo romanzo, credo, poco dopo la fine del liceo, senza particolare sguardo critico, anzi godendomi la storia con una certa ingenuità. Ricordo però che mi aveva colpito la sua “diversità” rispetto a altre opere della stessa epoca, mi ero detta qualcosa come: però… allora si può ancora fare… Ero piacevolmente sorpresa dal carattere antirealista (come per L’Isola di Arturo, direi), andava un po’ nel senso di quello che mi piaceva in un romanzo senza che osassi aspettarmelo. Ne ho però un ricordo troppo lontano per poter dire più di questo. Alessandra, tu che ne hai parlato, trovi che ci sia qualche punto di contatto con la Ortese?

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    1. Bella domanda. Per risponderti in modo adeguato dovrei prima conoscere meglio l’opera morantiana e farmi un’idea più completa dei contenuti, della poetica di base. Riflettendoci, avanzo l’ipotesi che fossero accomunate da un’acuta sensibilità interiore, dalla capacità di avvertire in modo intenso la sofferenza del mondo (uomini, animali) trasfigurandola poi nella fantasia, nella finzione narrativa. Ognuna a suo modo: la Morante traendo ispirazione dalle fiabe e dalle storie cavalleresche, l’Ortese attingendo dal calderone del realismo magico. Il tuo quesito è comunque molto interessante, meriterebbe futuri approfondimenti.

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    2. Cara Elena, a proposito dell’Ortese ho trovato in rete una lettera che aveva scritto alla Morante subito dopo aver letto il suo romanzo, datata maggio 1975. Te ne riporto di seguito un breve stralcio, anche perché quello che scrive sembra deporre a favore di un comune sentire di fronte al dolore della condizione umana: “(….) ho letto La Storia, e sono andata avanti tutta la notte, e poi il giorno dopo, e poi un altro giorno. Ero sbalordita. Si aprivano dovunque i cieli della più grande tradizione italiana. Con un dolore più vicino. Dopo il primo giorno mi è accaduto questo: non avevo più memoria di tutte le cose – anche immense – finora lette. Ancor meno mi ricordavo di me. (….) Voglio ricordare qua e là, di questo VIVENTE libro, la luce in cui si muove – colorando le strade, la gioia di Useppe. I piccoli interni familiari. La polvere povera, tutta voci. I rossi orrori che accadono all’uomo, di epoca in epoca. Quando il libro è finito, resta il senso dell’epoca. Siamo un po’ cambiati. Della letteratura non ci ricordiamo, e questo è bene. Ma sì del dolore umano. E questo dolore, che è intramontabile, diviene l’ombra che va avanti, la musica funebre della gioia che finì, ma in eterno porrà quesiti alla ragione. Non so di strutture e di altro. So di emozioni. Queste sole dicono che in un racconto, o in una letteratura, è passata la vita. E solo la vita – a umiliazione dei critici – è forma.”
      Poi mi è venuto in mente che ad accomunarle non era solo la sensibilità verso i più deboli, gli emarginati, ma anche il rifiuto del conformismo e delle mode culturali del tempo. Adesso ho ancora più voglia di buttarmi sul romanzo tanto contestato, ma prima devo finire Menzogna e sortilegio e altre letture già intraprese. Diamo tempo al tempo….

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      1. dallamiatazzadite

        Grazie della bella e lunga citazione che corrobora molto bene la tua ipotesi. Sì, una sensibilità per i deboli e i sofferenti che nella Ortese sfocia forse più in un immedesimarsi incondizionato (penso per esempio a Alonso e i visionari, ma anche all’Iguana), mentre la Morante mantiene comunque una certa distanza epica rispetto al narrato – almeno è l’impressione che mi è rimasta dalla Storia, che ho letto quando è uscito, quindi molto tempo fa. Quello che mi piace di entrambe le scrittrici è la libertà sovrana che, come dici, le porta a rifiutare il conformismo. Buona serata e buona lettura!

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      1. Più di recente avevo comprato Il mondo salvato dai ragazzini, ma è una lettura impegnativa che richiede concentrazione, tempo e dedizione… una full immersion che ora la mia vita non non mi concede… quando sarò vecchia lo riprenderò.

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    1. Ciao Alessandra, mi fa molto piacere che tu abbia “rilanciato” la Morante che considero la più grande scrittrice che abbiamo avuto nel nostro novecento, insieme alla Ortese e di cui, purtroppo, ci si sta cominciando a dimenticare. Ho avuto modo di leggere e di commentare nel mio blog, proprio di recente, “L’isola di Arturo” libro bellissimo che ti consiglio senza riserve. Tra l’altro molti considerano “L’isola di Arturo” e proprio “Menzogna e sortilegio” i suoi due libri più belli, quelli in cui si esprime al meglio la cifra fantastica e onirica della Morante che è quella in cui secondo me lei eccelle. Ma ti consiglio anche i bellissimi racconti contenuti nella raccolta “Lo scialle andaluso”, in particolare quello che dà il titolo alla raccolta e, soprattutto, il più bello di tutti, “Via dell’Angelo”.
      Un caro saluto e buona prosecuzione di lettura.
      Raffaele

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  7. Renza

    Lukàcs definì Menzogna e sortilegio come il più grande romanzo italiano moderno. Grande lo è, anzi, per me, grandissimo. Romanzo particolare: non storico, contenendo elementi tra di loro anacronistici; non sociale, essendo i personaggi, pur connotati socialmente, sostanzialmente degli archetipi; non veristico, malgrado le apparenze, ma onirico e immaginifico e intriso di Novecento e psicanalisi.
    Collocato in un tempo e in uno spazio non definiti ( forse ai primi del ‘900, forse a Palermo), quasi a voler raccontare una storia perenne e archetipica che si ripete, Menzogna e sortilegio narra vicende e personaggi assoluti. I sentimenti, le relazioni che si intrecciano non conoscono limiti né mutazioni, quando nascono sono per sempre. Le vicende umane, gli accadimenti della realtà non incidono mai su di essi, che permangono identici nella loro fortissima intensità. I personaggi sono anch’ essi assoluti : amano e odiano per sempre, e si nutrono di affabulazioni e di menzogne reciproche. Eppure, tutto questo tragico tormento è espresso in un linguaggio cristallino e razionale che narra togliendo enfasi e riuscendo così nell’ intento di rarefare l’ enfasi emotiva. Diciamo che il risultato grandioso sta proprio qui nel contrasto tra una materia narrativa incandescente e una lingua perfetta, distaccata e aulica (molte sono le similitudini simili a quelle omeriche).
    Insomma, un romanzo magnifico, ma tutta la produzione di Elsa Morante è considerevole. Quindi, Alessandra, tutte le pagine ti faranno buona compagnia, pur nei tuoi tempi ridotti. Ciao.

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    1. Il tuo contributo rafforza e completa, aggiungendo altri dati importanti, l’iniziale impressione di lettura. Questo è il tipo di scambio culturale che speravo di avviare fin dall’apertura del blog e devo dire che, grazie a molti di voi, ciò è accaduto e sta accadendo sempre più spesso. Grazie di cuore Renza, grazie a te e a tutti quelli che intervengono nei commenti condividendo passioni e ulteriori conoscenze.

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  8. C’è poco da dire, hai inserito talmente tanti autori e opere interessanti che trattenersi è impossibile! Sono così felice di scorgere recensioni e articoli introduttivi a letture che anch’io ho nella lista dei desideri da tempo!
    Purtroppo conosco Elsa Morante solo superficialmente: ho letto alcuni brani da “La storia” e “L’isola di Arturo”, qualche anno fa, in un’antologia, e ricordo di esserne rimasta folgorata. Il tempo era tiranno e non ho potuto dedicarmici come e quanto desideravo, ma grazie al tuo contributo – così ricco, sincero e accompagnato da un estratto significativo –, ho ritrovato lo “sfarfallio” nello stomaco e le palpebre asciutte che avevo incontrato allora, dunque mi sono imposta di addentrarmi in una sua opera prima che l’anno finisca (e – scaletta di letture in attesa a parte – sarà davvero dura, perché da quale romanzo comincio? Ardua scelta!).
    A proposito di “La storia”: sono anche molto curiosa di vedere il film di Comencini e, nel caso lo avessi già guardato, vorrei chiederti come l’hai trovato.
    Grazie per questo tuo prezioso contributo!

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    1. No, non ho visto il film. L’intenzione sarebbe quella di leggere prima il libro, poi in seconda battuta di vedere anche il film. Magari possiamo organizzarci per leggerlo più o meno nello stesso periodo “La storia”, così poi abbiamo la possibilità di scambiarci qualche impressione a caldo. Sempre se ti va l’idea. Che so, magari da settembre in poi, per fare un esempio… In piena libertà, a seconda della voglia e del tempo a disposizione. Anch’io devo prima smaltire altre letture 😉

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  9. Della Morante ho letto per primo L’Isola di Arturo, e ne sono rimasto estasiato! Poi ho letto La storia, grande romanzo, anche se non ha la fluidità e la coerenza interna che ci si aspetta da un romanzo, rappresenta comunque uno spaccato dell’Italia prima e dopo l’occupazione. Qualcuno, intanto, su Anobii, mi aveva avvisato che il vero capolavoro della Morante era proprio Menzogna e sortilegio – un libro infatti che mi ha lasciato senza fiato. Vale molto la pena anche il suo ultimo, Aracoeli, come pure i racconti di Uno scialle andaluso, ma io non mi perderei la perla recentemente pubblicata, un libriccino dal titolo Aneddoti infantili, stupendo! Buone letture da un grandissimo ammiratore della Morante,

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    1. Menzogna e sortilegio l’ho terminato ormai da un pezzo e ribadisco quanto sia pregevole come romanzo, seppure ripetitivo e prolisso in alcuni parti. Se avesse avuto duecento pagine in meno, nulla avrebbe perso della sua bellezza. Comunque è un bel viaggio, vale la pena farlo. Grazie per i graditi suggerimenti; del libriccino pubblicato di recente non ne sapevo proprio nulla.

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  10. Pingback: Tra attese e desideri che cambiano… | LIBRI NELLA MENTE

  11. Ho letto L’isola di Arturo e Menzogna e Sortilegio. Questa estate affronterò La storia. Elsa Morante è una delle scrittrici più grandi del Novecento, più grande anche di altri scrittori, del suo ex marito, per fare solo un esempio. Il brano che hai riportato è un capolavoro di perfidia e di masochismo, temi presenti nel libro, e analizzati dalla scrittrice con uno sguardo spietato e compiaciuto. Leggerlo mi ha riportato visioni e profumi della scorsa estate perché le storie che leggiamo nei libri entrano nella nostra storia. Grazie di questo ricordo.

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